Per la casa occorrono subito risposte all’altezza della dignità umana

Il 7 giugno è stata pubblicata da Roma Capitale la graduatoria dei nuclei familiari in attesa di una casa popolare, aggiornata al 31 dicembre 2023. Sono 18.608 famiglie iscritte nelle graduatorie e, se si sommano i loro componenti, si arriva a 50.034 persone. Alla fine del 2022 erano 16.635 le famiglie iscritte: in un anno l’aumento è stato del 12%.

Quella che vive in attesa – si tratta di persone che hanno forti difficoltà abitative, situazioni precarie, sono sotto sfratto o già sfrattate, che vivono in strada, risiedono in alloggi di fortuna, in case occupate, residence o roulotte – è un’ulteriore città nella città, di dimensioni superiori a quelle dei capoluoghi di diverse province italiane. Nella lista dei primi 1.000 richiedenti, inoltre, sorprende che ben 577 siano single, mentre sono 104 i nuclei composti da due sole persone.

Calato il sipario sulle elezioni europee, riemerge purtroppo con forza la drammaticità di certi affanni quotidiani della città, di tanti dei suoi abitanti. Non ci si può lamentare, preoccupare si, se cresce il numero di coloro che non esercitano un diritto vitale per la democrazia, quello al voto; quando però aspetti fondamentali della vita quotidiana, come l’abitare, il curare la propria salute, il lavorare per vivere dignitosamente, lo studiare e l’allevare i propri figli, subiscono la continua incertezza e l’assenza o la carenza di cura da parte di chi è preposto ad assicurare pari opportunità, allora si potrà comprendere, pur non giustificandolo, chi si ritrae dai priori diritti-doveri civili.

Tra le persone in attesa di una casa popolare, soprattutto tra i single, molti sono gli anziani che rimangono in lista per molto tempo a causa della mancanza di alloggi adeguati. A loro, infatti, possono essere assegnati immobili di piccole dimensioni, cioè di massimo 50 mq che, nel patrimonio pubblico romano, sono molto scarsi. Gran parte di questo patrimonio è stato costruito negli anni ’70-’80, quando la media dei nuclei familiari era composta da cinque persone e si progettavano abitazioni corrispondenti. Locali che, attualmente, non possono essere assegnati a persone singole e per i quali è urgente una ristrutturazione.

Il Piano Casa promosso da Roma Capitale è un segnale, ma da solo non basta. Occorrono allora nuove forme di welfare che partano dalla comunità per favorire al massimo forme di coabitazione, housing sociale, su base volontaria, tra più persone, che sappiano unire le generazioni e le esigenze: a Roma abbiamo 70.000 studenti universitari fuori sede, “strozzati” da un mercato degli affitti che nel migliore dei casi chiede loro tra i 500 e i 600 euro al mese per poter utilizzare una camera, oltre ai costi per il condominio e alle varie utenze.

Questo dell’abitare a Roma, è il principale problema e non più una emergenza, dato che persiste e si aggrava da ormai decenni, che offende la dignità di ogni essere umano. Se è vero che senza un lavoro mancano i presupposti per vivere dignitosamente, è altrettanto vero che senza un alloggio accettabile si sta ancora peggio. La Roma di cui celebriamo la bellezza e il boom dei flussi turistici, la capacità attrattiva di eventi artistici, culturali e sportivi di portata mondiale, non può continuare a chiudere gli occhi su questa umanità dolente. Tutto questo ci interpella profondamente anche come comunità di credenti nel Cristo Risorto e il Vangelo è pieno di indicazioni su come poter procedere per dare buona testimonianza nella condivisione, nell’animazione delle comunità, nella collaborazione con le istituzioni.

Quello dell’abitare, del diritto alla propria intimità, alla cura delle proprie relazioni più strette, al potersi riconoscere come persona tra le persone, è un terreno su cui è indispensabile l’impegno comune delle diverse forze politiche, dei diversi poli di responsabilità istituzionale a livello locale, regionale e nazionale perché è chiaro che occorre un piano straordinario di investimenti; dei diversi soggetti che vivono Roma, cioè i singoli cittadini, le comunità civili e religiose, i proprietari piccoli e grandi del vastissimo patrimonio immobiliare vuoto cioè sfitto o non utilizzato.

La risposta a questo complesso problema spetta in primo luogo ad una politica che riscopra cosa significa fare politica ma anche ad ognuno di noi perché il silenzio e l’omissione riguardano spesso molti abituati ad essere solo spettatori, piuttosto che cittadini responsabili, titolari di diritti, doveri, poteri e responsabilità.   

Giustino Trincia
diacono, direttore Caritas di Roma