Giornata Mondiale dell’Alzheimer. Carità nelle relazioni

L’esperienza e il vissuto degli operatori del centro diurno per persone con Alzheimer “Casa Wanda”. Editoriale a cura del coordinatore Nadio A. La Gamba

Sempre più frequentemente troviamo articoli su stampa e assistiamo a servizi televisivi, che hanno per oggetto l’Alzheimer e le demenze. La demenza è, infatti, in crescente aumento nella popolazione generale ed è stata definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e da Alzheimer Disease International una priorità mondiale di salute pubblica. L’attuale stima del numero di persone che convivono con una demenza ammonta a 55 milioni. I dati del Global Action Plan 2017-2025 dell’OMS evidenziano come nel 2015 la demenza abbia colpito 47 milioni persone in tutto il mondo; nel 2030 si prevede un aumento fino a 75 milioni per giungere a 132 milioni entro il 2050, con circa 10 milioni di nuovi casi all’anno (1 ogni 3 secondi). Si comprende così quanto sia allarmante ricevere una diagnosi di Alzheimer.
La gravità diventa tangibile quando poi occorre attivarsi per offrire cure adeguate alla persona malata e, ancora di più, sostegno ai familiari. I servizi che prendono in carico un malato di Alzheimer non sono ancora in numero adeguato per rispondere alle richieste. La spesa pubblica non è di certo sufficiente per rispondere ai bisogni presenti ma riscontriamo un aumento di sensibilità e di attenzione nei confronti dei disturbi neurodegenerativi che comportano un declino cognitivo.

Il Centro Diurno Alzheimer “Casa Wanda”

Casa Wanda ha iniziato le sue attività il 6 marzo del 2017 nel complesso dell’ex Colonia Marchiafava. Il centro promosso dalla Caritas di Roma è dedicato alle persone affette da demenza e da Alzheimer, con un servizio ben strutturato e agile, per l’accoglienza fino a 20 persone, divise in due gruppi.

In questi anni è cresciuto tanto il rapporto con le persone che frequentano il centro, malati soprattutto, ma anche i loro familiari e caregivers. Si è creato un legame stretto per il quale noi operatori ci offriamo, spontaneamente, di essere un punto di riferimento, cercando di fornire vicinanza, empatia, sostegno e, nella misura in cui ci è possibile, informazioni e supporto logistico per le varie problematiche.

Operare a “Casa Wanda” comporta un coinvolgimento emotivo importante, al punto che merita una certa considerazione. Essere consapevoli di cosa si prova svolgendo il proprio compito all’interno del centro è di fondamentale importanza. Il nostro compito è anche quello di tessere relazioni significative non solo con le persone che frequentano il centro, ma anche con i loro familiari. Dobbiamo conoscere quali sono le implicazioni delle emozioni che le situazioni ci suscitano per gestirle al meglio e non renderle da ostacolo nei benefici che il centro apporta alla persona con Alzheimer.

Il gruppo di lavoro di Casa Wanda è costituito da operatori che da anni svolgono il proprio ruolo con passione e competenza, ad esempio attraverso i laboratori di arte-terapia, che prevedono attività creative, svolte sulla base di un tema predefinito, con l’utilizzo di attrezzature e materiali che prendono forma, colori e anima. Da diversi mesi abbiamo, inoltre, introdotto un nuovo laboratorio di riattivazione motoria, attraverso un programma di attività sempre più specifico per la coordinazione mente-corpo.

Gli operatori sono molto colpiti nell’interagire con le persone che presentano una crescente difficoltà a comunicare, che arrivano ad utilizzare parole-frasi pass par tout, a mettere in fila delle parole in frasi che non giungono al termine, ad affermare che sanno tutto e che sanno fare tutto per poi affermare che no, il proprio nome, sfugge… Persone che arrivano ad emettere espressioni vocali, come nella fase di lallazione dei bambini per poi improvvisamente pronunciare parole chiave con le quali ti comunicano un intero concetto con il grande stupore e piacere di quanti gli stanno attorno.
Ciononostante il malato, per quanto riduce le interazioni, continua ad essere capace di comunicare, magari non più con il linguaggio verbale, ma con una serie di segni non verbali che esprimono il desiderio di entrare in contatto, in relazione. Ci sono degli sguardi che parlano più di tante parole.

Spesso il centro medico ospedaliero offre solo controlli semestrali, con la conseguenza naturale per i familiari di rivolgersi privatamente ad uno specialista, geriatra o neurologo, dal quale far seguire la terapia e dal quale ricevere indicazioni su come fare. In questa ottica abbiamo siglato un protocollo di intesa con il reparto di Geriatria dell’Ospedale Regina Margherita, come centro medico di riferimento.

Le complicanze della progressione della malattia sono molto gravi e comportano necessità mediche e di assistenza sempre più elevate. I familiari hanno la necessità di chiedere aiuto a persone che, con o senza esperienza o preparazione specifica, vivono insieme alla persona malata e a qualche suo congiunto, dando luogo di fatto ad una nuova struttura familiare anche questa di non facile gestione.
Non emergono problemi solo dal punto di vista economico, visto che a volte bisogna ricorre a più operatori per offrire un’adeguata assistenza al malato, ma soprattutto per gestire il rapporto con persone che hanno modi di fare e di pensare anche molto diversi dai propri e che di fatto diventano figure essenziali nella fase di vita così delicata.

Tanta stanchezza anche nei caregivers, nei cosiddetti badanti, persone che con molta dedizione assistono le persone in difficoltà. Ma dedicarsi – spesso – 24h su 24 ai malati di Alzheimer e quasi sempre da soli, è estenuante con il rischio di un processo di estraneazione dalla realtà per la riduzione di rapporti interpersonali.

Come Caritas di Roma stiamo realizzando, per conto del Municipio 2, un progetto denominato non a caso “Un aiuto per chi aiuta”, offrendo servizi concreti al caregiver che in questo modo può essere un po’ alleggerito dal peso di seguire in prima persona un familiare in forte stato di bisogno.
Segnaliamo anche un’altra iniziativa della Regione Lazio in favore dei caregiver: la possibilità di ottenere dei buoni da spendere in servizi.

Ad esempio, abbiamo introdotto un laboratorio individuale di attività cognitive con esercizi di parole, giochi associativi, stimolazione sensoriale, esercizi di memoria e sequenze, cercando di proporre l’attività con leggerezza, serenità ed empatia; incoraggiando ogni singolo piccolo successo e non insistendo se riscontriamo una difficoltà. L’obiettivo a lungo termine è quello di consolidare gli esercizi, mettendo in condizione i caregivers di proporre attività anche a casa. Abbiamo chiesto a dei nostri volontari di darci una mano e si dimostrano capaci di proporre e condurre gli esercizi, facendolo in modo molto rispettoso dei tempi e delle modalità della persona che hanno davanti.

Siamo consapevoli che sono molte le difficoltà e anche per noi può risultare frustrante non riuscire a far migliorare le performance, ma dobbiamo pensare che l’obiettivo deve diventare non tanto quello di sollecitare, incoraggiare, spronare per cercare di contrastare il decorso della malattia ma piuttosto quello di armonizzare quanto più è possibile le capacità conservate della persona con l’ambiente che lo circonda, facendo vivere l’esperienza nel “qui e ora” e nel modo migliore.

Tra le altre attività promosse, ci sono il laboratorio “Mani in pasta”, che offre lezioni di preparazione della pizza, con il supporto di esperti pizzaioli, e il progetto “Memo(sto)ria”, in collaborazione con la Scuola Spagnola di Storia e Archeologia in Roma (EEHAR-CSIC), che prevede seminari mensili di divulgazione scientifica con un approccio interattivo per favorire la partecipazione dei malati di Alzheimer. I risultati di questi primi due anni di collaborazione saranno presentati nel corso dell’evento organizzato il prossimo 22 settembre 2023 presso la sede dell’EEHAR.

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