Gioco d’azzardo: la beffa infinita

GRATTA_E_VINCIEQuando è stato sottoscritto dalla Conferenza Unificata Stato-Regioni l’accordo sul riordino dell’offerta del gioco d’azzardo in Italia, ci si era resi conto subito che portava in sé numerosi elementi di contraddizione.

Era inizio settembre, ne avevamo già scritto [Le ambiguità della politica sul gioco d’azzardo]: nonostante la risolutezza delle amministrazioni regionali avesse scongiurato la compressione delle competenze locali in materia di regolamentazione e limitazione del gioco d’azzardo, gli interessi dell’industria del settore e dello Stato, che dalle tasche dei giocatori ricavano miliardi di euro ogni anno, non si sono sopiti facilmente, come era prevedibile.

E benché il sottosegretario all’Economia abbia più volte ribadito la volontà del Governo di intraprendere “un’inversione di tendenza” a fronte di una situazione sfuggita di mano [Gioco, Baretta (Mef): “Approvazione riordino è primo passo per consolidare inversione di tendenza del Governo”], si era capito che la svolta non sarebbe stata così netta, quando lo stesso aveva assicurato agli operatori del settore dell’azzardo che l’accordo non avrebbe inciso sui loro investimenti [Baretta rassicura il settore: “L’intesa su riordino prevede salvaguardia degli investimenti”].

Da quel momento in poi, si era rinnovata l’attesa: questa volta per il decreto ministeriale chiamato a rendere attuativi i contenuti dell’accordo e a svelare quanto lo Stato abbia realmente preso sul serio l’emergenza del gioco d’azzardo e i costi sociali e sanitari che ne derivano.

In questo quadro, suona davvero sconsolante l’affermazione del sottosegretario all’Economia contro la legge regionale piemontese in materia di gioco d’azzardo, a suo avviso così restrittiva da configurare la possibilità che gli amministratori rispondano delle “mancate entrate erariali” (“Il Governo: no al proibizionismo. La Regione danneggia l’erario”, 19.11.2017).

Lascia perplessi che, tra le motivazioni addotte, vi sia quella per cui il gioco d’azzardo legalizzato farebbe da argine al gioco d’azzardo gestito dalla criminalità organizzata, nonostante la Relazione sulle infiltrazioni mafiose e criminali nel gioco lecito e illecito della Commissione Parlamentare Antimafia abbia evidenziato proprio il contrario, ovvero che “l’espansione del gioco d’azzardo legale fa da battistrada a quello illegale e lo potenzia” (p. 21).

Viene allora da chiedersi se davvero chi guarda alla materia del gioco d’azzardo dal punto di vista del bilancio pubblico non riesca a capire che sul medio-lungo periodo lo Stato stesso pagherà enormi costi sociali e sanitari per tutte quelle situazioni di gioco d’azzardo problematico ora sommerse, ma che, alimentate da un’offerta commerciale martellante, a un certo punto esploderanno.

Viene da chiedersi dove sia il Ministero della Salute e perché non vengano interpellati gli specialisti che da anni affrontano sul campo la dipendenza da gioco d’azzardo, constatando nei loro pazienti quanto sia difficile uscirne. Questo è un aspetto su cui forse si riflette poco: contro la compulsione da gioco d’azzardo è una sfida complessa da affrontare a livello terapeutico, molto spesso costellata da ricadute e la soluzione non è affatto scontata.

C’è la ricerca e l’impegno di medici, psichiatri, psicologi, operatori e tutti i professionisti che si adoperano per riscattare le persone dipendenti da azzardo, per accompagnarle fuori da un baratro che non è solo umano e familiare, ma anche economico, con tutto ciò che ne consegue.

Se non si prende atto di questo, se non si abbandonano le argomentazioni di facciata per legittimare ciò che è ingiustificabile, continueremo a illuderci, come si illudono le persone che quando iniziano a tentare la fortuna non si accorgono del piano inclinato su cui rischiano di scivolare.

Così è per lo Stato, finché resterà dipendente dal gioco d’azzardo.