Le ambiguità della politica sul gioco d’azzardo

GiocoazzarDopo un anno e mezzo di dibattito politico, tra istanze formulate da associazioni e movimenti contro l’azzardo e interessi dell’industria di settore, la Conferenza Unificata Stato-Regioni ha approvato l’accordo che apre la strada al riordino del sistema del gioco d’azzardo in Italia attraverso la regolamentazione delle “caratteristiche dei punti di raccolta del gioco pubblico”.

Una formulazione del documento era stata diffusa a inizio agosto, in pieno periodo estivo, in qualità di bozza definitiva tra le proteste di chi conosce la difficoltà di sensibilizzare l’opinione pubblica su un tema all’apparenza tecnico, ma che tanto incide sulla salute di un numero crescente di persone, sui familiari, sui luoghi di lavoro: sulla società intera.

La mobilitazione si era concretizzata in un accorato appello alle istituzioni locali affinché richiedessero ai Monopoli di Stato dei dati relativi all’offerta e al consumo di gioco d’azzardo nei rispettivi territori. Questi dati, di cui i Monopoli dispongono ma che non rendono pubblici, avrebbero permesso di fondare la discussione su un piano di realtà e non sulle retoriche con cui le società concessionarie negano la correlazione tra offerta e incidenza della patologia da gioco d’azzardo, ascrivendo quest’ultima alla predisposizione di una percentuale minoritaria di individui.

Inoltre, meno di una settimana fa, la Caritas Italiana, la Consulta Nazionale Antiusura, il Cartello “Insieme contro l’azzardo” e altre realtà civili ed ecclesiali impegnate contro questa piaga sociale sono convenute a Milano per incontrare il sottosegretario Pier Paolo Baretta, delegato del Ministero dell’Economia e delle Finanze in materia, e ribadire la contrarietà all’accordo per come formulato.

Il giorno dopo, è stata diffusa un’altra bozza: quella definitivamente approvata dalla Conferenza Stato-Regioni nella giornata di giovedì 7 settembre.

Ciò che colpisce in questo percorso, così come già era avvenuto per il tentativo di riforma tramite legge Delega nel 2015, è il continuo richiamo a intese o convergenze, come fosse possibile tenere insieme istanze del tutto inconciliabili: quelle delle grandi società concessionarie che dai giocatori d’azzardo estraggono profitto; quelle dello Stato, che sulla tassazione del gioco d’azzardo fonda una quota esorbitante del proprio bilancio pubblico; quelle delle amministrazioni locali su cui si scaricano i costi, in primis socio-sanitari ma non solo, dell’offerta e del consumo di gioco d’azzardo; quelle della società civile ed ecclesiale, che rilevano sul campo, spesso direttamente nei volti delle persone e dei familiari colpiti da dipendenza, l’enormità delle ricadute di questo fenomeno.

Laddove qualcuno lucra e qualcun altro perde, non può esserci convergenza, anche all’interno delle istituzioni stesse.

Più volte, a livello statale, si è infatti ipotizzato di limitare i poteri delle amministrazioni locali in materia di azzardo, entro uno scenario in cui l’unico argine alla proliferazione dell’offerta sono proprio ordinanze e regolamenti emanati dai Comuni e in cui le uniche politiche in tema di prevenzione e presa in carico sono state formulate a livello regionale. La mobilitazione delle amministrazioni e del fronte no azzardo ha scongiurato il pericolo e il documento approvato rende ragione di questa fondamentale competenza locale, senza tuttavia rinunciare al rimando a criteri di omogeneità nella distribuzione dell’offerta di azzardo e una non meglio precisata necessità di intesa con l’Agenzia delle dogane e dei Monopoli di Stato a riguardo.

Nell’accordo sono contenute anche altre azioni rispetto alle quali mancano elementi descrittivi imprescindibili per consentire una valutazione e un giudizio: dalla classificazione di esercizi commerciali per il gioco d’azzardo di tipo A, al “upgrade tecnologico” con cui si giustifica la sostituzione di slot machines a favore di un numero più contenuto di macchinette dalle indefinite caratteristiche più avanzate.

Dietro a un obiettivo espresso nei termini di “innalzare il livello qualitativo dei punti gioco e dell’offerta”, c’è veramente da chiedersi se la finalità ultima dell’accordo sia la tutela della salute dei cittadini attraverso un reale depotenziamento dell’offerta e il disincentivo del consumo, oppure una razionalizzazione dell’offerta secondo logiche di mercato.

Un accordo non può fondarsi sulle ambiguità. Per questo Caritas Roma continuerà a presidiare il dibattito sull’attuazione di queste misure perché, come è stato detto, ciò che si chiedeva al governo era un’inversione di tendenza sul gioco d’azzardo e l’inversione non potrà mai realizzarsi finché l’argomento sarà affrontato salvaguardando i profitti a discapito delle persone.