La “vacanza” speciale di un’operatrice Caritas

La testimonianza di Elena, della Caritas di Mantova, con i minori di Via Venafro

IMG-20150618-WA0007Nell’attimo in cui ho suonato il campanello al cancello verde di via Venafro avevo il cuore in affanno… un po’ per il viaggio da Mantova, un po’ per il caldo del 25 agosto, un po’ per le immagini del terremoto del giorno prima che avevano risvegliato i ricordi di quello vissuto nel 2012, ma soprattutto per i tanti punti interrogativi sulla settimana di servizio che stavo per vivere. Continuavo a chiedermi chi me l’aveva fatto fare di dedicare sette giorni di ferie da un lavoro logorante come quello di responsabile di due centri di ascolto Caritas per seguire dei ragazzini stranieri, scalmanati e pieni di problemi, in una sperduta struttura della periferia romana.

Il primo impatto ha confermato i miei timori: i ragazzi stavano giocando e facendo le pulizie con grande chiasso, l’educatrice mi ha consigliato di lasciare la valigia chiusa in ufficio per evitare furti e ho scoperto che la mia spartana stanzetta al piano di sopra non aveva la chiave per sentirmi al sicuro durante la notte. Ah, che donna fragile e di poca fede, nonostante 35 anni e un sacco di esperienze più toste alle spalle!Per fortuna, il Signore vede più avanti di noi e c’era più di un buon motivo per avermi chiamata fin lì.

Condivido con voi i principali che ho colto finora, ma sono certa di non averli ancora scoperti tutti:

  • la ricchezza regalatami da questa nuova esperienza in un ambito Caritas totalmente diverso da quello che vivo quotidianamente
  • l’accoglienza paziente, calorosa e sincera riservatami da tutti gli adulti che sono entrati dallo stesso cancello quella settimana… educatori, cuoca e responsabili si sono prodigati per farmi sentire ogni minuto a casa… chi l’ha fatto togliendo il peperoncino dal mio piatto e chi montando subito la serratura alla porta della mia stanza; qualcuno facendomi trovare il bagno già pulito e qualcun altro chiacchierando ore con me per rispondere alle mie curiosità; alcuni facendomi partecipare alle équipe come fossi anch’io un’operatrice e altri continuando a scrivermi anche dopo essere tornata a casa…
  • l’affetto disinteressato di 12 ragazzini che, approdati a Roma dopo viaggi della speranza lunghi e faticosi da Albania ed Egitto, pur consci di incrociare la mia vita solo per pochi giorni, mi hanno accolta dal primo istante come una sorella conosciuta da sempre, mi hanno aperto i loro cuori con smisurata fiducia, mi hanno amata e rispettata più di quanto abbiano fatto tanti conoscenti in un’esistenza intera… Il callo sul dito mi ricorda le infinite sfide a biliardino, la scarpe annerite mi fanno tornare alle pulizie nel parco o alle partite a calcio e pallavolo sul selciato, la parola “shatta” per piccante mi riporta a tutti i pranzi e cene condivisi, mentre le lezioni di arabo che ho appena iniziato a prendere sono il mio tributo in cambio di quelle di italiano che con tanto interesse loro hanno accettato da me.

“Se tu sei felice, io sono felice. Se tu sei triste, io sono triste. Se tu hai paura, io non ho paura”. Queste sono le parole che io adulta, benestante ed emancipata donna europea avrei dovuto dire a ciascuno di quei ragazzini… e invece è stato uno di loro che le ha dette a me, con infinita naturalezza, mentre lo accompagnavo per la prima volta a vedere il Colosseo. Che la logica del dono fosse sconvolgente lo sapevo già, ma prima di Venafro non pensavo che arrivasse a questo punto.

Elena Mossini