Se pensiamo alla persona come decoro urbano…

homelSappiamo che il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha espresso l’intenzione di modificare la normativa per la tutela del decoro e della sicurezza urbana fornendo ai sindaci maggiori poteri esecutivi. Nel concetto di decoro e sicurezza egli ha fatto rientrare anche la situazione delle persone senza dimora che vivono per strada.

Ci sembra un’ottima notizia: finalmente la politica prende in seria considerazione il disagio e le fragilità sociali, mettendole nell’agenda di un piano d’azione che coinvolga le autorità amministrative locali.

Allora probabilmente l’aumentare del disagio e della povertà, il loro diffondersi a fasce sempre più larghe di cittadini e le aggressioni contro persone senza dimora stanno suscitando non solo interesse e preoccupazione ma anche maggiore comprensione e consapevolezza circa le situazioni di maggiore fragilità socio-economica presenti nel nostro paese.

Così si cercano soluzioni, si tentano nuovi approcci.

E invece…

Se non conoscessimo le motivazioni chge hanno spinto a tali dichiarazioni potremmo davvero sentirci rinfrancati e credere che le cose vadano nella giusta direzione; potremmo essere fiduciosi del fatto che il lavoro e l’impegno spesi in questi anni da tante associazioni a servizio delle persone in difficoltà abbiano avuto le ricadute che da sempre si auspicano, non solo sulle loro vite ma anche sulle coscienze e sulla consapevolezza della comunità politica e sociale. L’intento che ha animato il nostro servizio ai poveri per esempio, sin dalla nostra costituzione, è stato infatti indirizzato alla testimonianza della carità in vista dello sviluppo integrale dell’uomo, della giustizia e della pace, con particolare riguardo e vicinanza alle persone svantaggiate ed alla sensibilizzazione della comunità e dei singoli.

Ma il contenuto della proposta purtroppo è di segno diverso.

Per questo motivo consideriamo doveroso soffermarci sugli intenti dell’idea di una normativa che ha tra i suoi obiettivi, come lo stesso sostenitore afferma, la tutela del decoro e della sicurezza della città, tutela che passa attraverso “la rimozione” dei senza dimora. Il ministro afferma anche la necessità di norme contro comportamenti a suo dire di rilievo penale come l’accattonaggio o la carità molesta. Potrebbero sembrare parole strane ma non è così, anzi sono coerenti con una specifica visione delle cose, con un preciso impianto teoretico di riferimento, a cui conseguono altrettante omogenee vie di risoluzione.

Già, perché non dobbiamo dimenticare che una stessa questione può sempre essere osservata da diversi punti di vista e ricevere diverse interpretazioni, talvolta anche paradossali.

Così può accadere che la persona senza dimora da soggetto in disagio, bisognoso quindi di sostegno, aiuto, attenzione divenga, nelle interpretazioni che per esempio ne fa l’idea espressa da Alfano, essa stessa causa di un disagio cittadino prevalente. Una causa che va combattuta o rimossa.

E così le logiche si sovvertono. Il dramma umano di una persona in difficoltà, che è costretta a vivere per strada con tutto ciò che ne consegue, viene letto in termini di decoro; ma non di un mancato decoro per la sua vita quanto per il senso estetico-urbanistico delle nostre città e di noi che le abitiamo.

Se questa è una possibile interpretazione è altrettanto vero che se ne possono affermare anche delle altre, magari partendo dalla preoccupazione dell’affermazione della priorità della dignità umana. E infatti chissà se papa Francesco si sarà preoccupato del decoro del colonnato di piazza San Pietro o piuttosto di quello delle persone a cui ha offerto servizi di cura igienica proprio sotto quel colonnato?

La lezione che traiamo dalla scelta del nostro Pontefice di aprire delle docce e una barberia presso il colonnato non ha tanto a che vedere con un modello organizzativo di risposta al disagio, quanto piuttosto col modo in cui il vescovo di Roma si è lasciato interpellare dalle condizioni specifiche delle persone senza dimora della nostra città. E così capiamo che grande differenza fa lo sguardo che usiamo quando osserviamo la realtà.

Potrebbe perciò essere utile domandarci cosa vediamo quando guardiamo una persona in disagio che vive per strada: è quello il punto di svolta che indirizzerà ogni nostra valutazione, presa di posizione, azione. Se non vediamo la persona e le sue difficoltà reali, se non riusciamo neanche a dar loro il giusto nome, non riusciremo mai a sentire quella condizione con un’urgenza che impone riconoscimento di dignità; allora sarà facile la riduzione della persona a problema da rimuovere dalla nostra vista e anche dalla nostra coscienza. Proprio perché ogni incontro con un tu pone una domanda di riconoscimento allora sì, in questa accezione, la persona in disagio è e deve essere “molesta” come la carità a cui dovrebbe muoverci.

E in questo senso la questione del decoro non può non trasformarsi in una emergenza sociale; non può non assumere la connotazione della premura e della tutela della dignità della persona; non può non passare attraverso la ricerca dei possibili percorsi di accompagnamento per la reintegrazione sociale della persona in disagio.

Uno sguardo diverso può cambiare le nostre interpretazioni e priorità e noi ci auguriamo che ciò avvenga, anche grazie e nonostante la proposta di Alfano.