Papà, ti renderò fiero!

“Sono stato al Tata Giovanni undici anni fa, nel 2013. Non ricordo la data precisa, ma solo che era all’inizio dell’estate. Mi chiamo Mohamed, sono di origine egiziana e ora sono adulto. In Egitto, quando ancora ero piccolo, ho iniziato a lavorare. Sono andato infatti a fare il muratore da quando avevo 13 anni fino a 17 anni; poi a 17 anni ho deciso di correre il rischio di imbarcarmi per l’Italia in cerca di una nuova vita o, meglio, di un futuro un po’ migliore di quello che abbiamo giù in Egitto.

Mio padre non è stato subito d’accordo sulla mia scelta, però dopo varie discussioni, alla fine sono riuscito a convincerlo e gli ho promesso che se questo viaggio fosse andato bene avrei fatto tutto il possibile per aiutare la famiglia e aiutare me stesso.

Sono partito con un barcone da Alessandria e sono rimasto in acqua per 12 giorni; lì abbiamo visto la morte. A distanza di vari anni oggi non ho più problema a raccontarlo. Come dicevo, facevo il muratore.

Per questo tipo di viaggio non c’è una data, i trafficanti ti possono chiamare in qualsiasi momento e dirti, ad esempio: “ci vediamo tra due ore in quel tal posto”. Io non avevo un telefono mio, ce l’aveva solo mio fratello. Quel “signore” che organizzava il viaggio, un giorno, ha chiamato perciò mio fratello: “Di’ a Mohamed di farsi trovare in quel posto alle quattro del pomeriggio”. Mio fratello è venuto subito da me, dove lavoravo, mi ha dato la notizia e ricordo che ero così felice e contento che sono andato subito tutto di corsa a casa a prendere il necessario. Mi sono fatto trovare al posto indicato alle quattro. L’appuntamento era nella città in cui vivevo, che è un po’ lontano dal mare, perciò quel giorno ci hanno portati ad Alessandria (stavo con altre persone che come me volevano imbarcarsi). Qui siamo rimasti in un piccolo appartamento: eravamo 94 persone in un appartamento di 40 o 50 metri quadri. Non si poteva dormire, perché eravamo tanti in uno spazio piccolo e poi non c’erano né i letti né niente… Eravamo seduti per terra e chi aveva sonno dormiva così com’era.

Siamo rimasti chiusi in casa per una settimana, poi un giorno alle quattro del mattino ci hanno svegliato e ci hanno fatto uscire tutti quanti, portandoci sulla spiaggia e facendoci salire su un barcone, sulla costa, tra la gente che guardava.

Siamo rimasti “nelle mani di Dio” per 11 giorni, quasi 12, in mare aperto. Abbiamo visto la morte, abbiamo visto tutte le cose brutte che si possono vedere in questa vita. Poi una mattina, verso le 4, finalmente siamo sbarcati in qualche paese della Calabria di cui non ricordo più neanche il nome. Avevamo l’aspetto di nomadi e la gente del posto, vedendoci, ha capito subito che era approdato un barcone e che eravamo sbarcati lì. I carabinieri hanno cominciato a perlustrare un po’ dappertutto. Delle 94 persone che eravamo, sono riusciti a trovarne 89. Cinque sono riusciti a scappare. In quel tempo non c’era la possibilità di chiedere l’asilo politico che c’è stata gli anni dopo, quindi i maggiorenni sono stati tutti rimandati a casa. Mi hanno fatto veramente molta pena perché pensavo a tutto quello che avevamo vissuto insieme per arrivare in Italia e ora venivano rimandati via così. Mi rendeva triste. Io, tuttavia, ho avuto l’opportunità in quanto minorenne di essere portato in una casa famiglia. Sono stato in Calabria per una settimana poi ho trovato un modo per venire a Roma, perché pensavo che a Roma alcuni conoscenti avrebbero potuto aiutarmi

Nella Capitale, la polizia mi ha fermato per la strada: non avevo documenti con me, a dir la verità non avevo proprio niente. Mi hanno portato al Tata Giovanni e sono rimasto per un tempo relativamente breve, perché ero abbastanza grande e vicino ai 18 anni. Per questo, mi hanno portato subito dopo un mese in un altro centro d’accoglienza, una casa famiglia in un’altra zona di Roma. Lì sono stato accolto fino ai miei 18 anni. In quei mesi venivano sempre a trovarci alcuni preti, erano al massimo due o tre, e ogni domenica venivano, cucinavano per noi, andavamo insieme a giocare a calcetto…

Tra questi preti c’era un messicano che era il più fedele alla visita settimanale. Con lui ho avuto un bel rapporto di amicizia. Sono rimasto in quella casa famiglia circa 4-5 mesi. Purtroppo non mi sono dato troppo da fare, solo il necessario, e così non sono riuscito a imparare quasi niente di italiano. A 18 anni, uscito dalla casa famiglia, ho provato a mandare il mio curriculum da tante e tante parti qui a Roma, però non ho avuto nessuna proposta di lavoro. In effetti avevo un curriculum molto scarno e non parlavo l’italiano, in più non avevo svolto nessuna esperienza professionale in Italia. A farla breve mi sono trovato per la strada. Era gennaio e fino a marzo non sapevo dove andare. Erano i tre mesi più freddi dell’anno… In quel periodo ogni tanto mi chiamava quel prete messicano e mi chiedeva come stavano andando tutte le cose. Gli rispondevo sempre che le cose stavano andando bene anche se in realtà non era così, perché mi vergognavo un po’ a dire la verità. Vivevo per la strada, dormivo nei treni in stazione, vicino alla casa famiglia dove ero stato.

C’erano tante persone che mi dicevano: “Ma vai alla Stazione Termini, spaccia un po’ di roba e sei a posto!” Ho sempre detto di no, perché sapevo che finiva sempre male. Cosa mi ha sempre trattenuto dal farlo? Prima di imbarcarmi per l’Italia, come raccontavo prima, avevo fatto una promessa a mio padre in cambio del permesso di partire: fare tutto il possibile per aiutare me e la mia famiglia. Quindi, sapendo che questa strada finisce sempre male – perché oggi è andata bene, domani va bene, ma dopodomani può anche andare male – mi sono detto “se va male vado a finire in galera e non sono venuto qui per andare in galera, sono venuto qui per fare quello per cui sono venuto”.

Ma è arrivata una sera in cui non ce la facevo più. Mi sentivo solo, ero triste. Uno dei momenti più brutti. Mi sono deciso: ho chiamato quel prete messicano e gli ho raccontato tutta la verità. Col mio modo di parlare gli ho fatto capire che vivevo per la strada e non stavo lavorando. Lui è stato molto generoso, mi ha portato e accolto nella loro casa, i preti mi hanno dato un alloggio per un mese, poi mi hanno aiutato a cercare e fare un corso di formazione per poter inserirmi in qualche modo nel lavoro. Il corso, era però quasi dall’altra parte della città rispetto a loro ed era serale, stavo fino a mezzanotte, così mi hanno trovato un pensionato lì vicino, in Vaticano.

Sono stato alloggiato lì per tutto il tempo del corso, che è durato un mese. Sono diventato amico della suora responsabile del pensionato, con cui siamo rimasti in contatto fino ad ora. Dopo il corso ho ricominciato a vivere autonomamente e a cercare di farmi una nuova vita. Ho lavorato in una pizzeria egiziana per circa un anno, poi ho deciso di andare via perché mi sottopagavano sempre. Lavoravo dalle 9 del mattino fino a mezzanotte, tutti i giorni, senza riposo, per meno di 700 euro al mese. Ho lavorato poi un po’ di tempo in una frutteria con alcuni connazionali che mi avevano offerto quel lavoro. Ma non è stato meglio di prima, anzi…era veramente brutto, perché mi sfruttavano in tutti i sensi e a volte non mi pagavano. Mi facevano sempre lavorare in nero. Siccome ero in Italia da poco, non sapevo che avevo diritto ad avere un contratto e tanti altri diritti nel lavoro. C’era chi mi pagava e anche chi non pagava, dicendomi di aspettare il mese successivo, poi il mese dopo di aspettare ancora il prossimo mese… Per queste situazioni ho perso fiducia nei miei compaesani. Me ne sono andato. Sono stato un buon periodo senza lavoro, perché non volevo più lavorare con loro. Poi, cercando e cercando, ho trovato un lavoro in una pizzeria di proprietà di una famiglia romana con cui abbiamo instaurato proprio un bel rapporto; hanno conosciuto e capito un po’ la mia storia e hanno deciso di aiutarmi nel percorso per ottenere la cittadinanza italiana. Mi hanno “adottato” anche se avevo 19 anni e ho vissuto un bel po’ di tempo da loro. Li ho aiutati anche nella loro azienda agricola e ho lavorato per un po’ in campagna. Era molto difficile muovermi, perché questa azienda era lontana dalla città. Così, dopo sei anni, ho deciso di cambiare e tornare a lavorare e a vivere a Roma. Il mio desiderio era rendermi autonomo. Siccome la mia famiglia adottiva aveva anche una casa in una città del Nord Italia, e mi ha offerto l’opportunità, ho deciso di provare a fare anche questo ulteriore cambiamento e andare un po’ a vedere com’è la vita in quei posti.

Abito ormai in quella città da più di tre anni. Appena trasferito ho potuto frequentare un corso di cucina regolare e diplomarmi come cuoco. Ho lavorato per un po’ di tempo in cucina. […] nel frattempo, avevo fatto richiesta per ottenere la cittadinanza italiana, con i documenti necessari dopo 5 anni di residenza qui in Italia. Sono passati ancora alcuni anni ed ora proprio tra due giorni andrò a fare il giuramento per la cittadinanza che finalmente ho raggiunto!

Ritorno all’inizio della mia avventura in Italia… quando sono stato accolto al Tata Giovanni. Ciò che mi ricordo più di qualsiasi altra cosa è il momento in cui i Carabinieri mi hanno portato al Centro. Era verso mezzanotte. C’erano due educatori, con cui sono ancora in contatto, che mi hanno accolto con un sorriso… Un sorriso che io non dimenticherò mai e che mostrava un grande affetto e tanta gentilezza. Ho capito subito che erano persone per bene. Sono fortunato ad aver conosciuto loro due! Poi al Centro hanno fatto tutto il possibile per me, mi hanno dato dei vestiti, ovviamente mi hanno anche mandato a scuola per imparare l’italiano e vivevo normalmente come un ragazzo adolescente. Questa loro gentilezza era unita anche al fatto che riuscivano a capire quello che stavo vivendo.

Poi sono veramente grato a tutte le persone che mi hanno aiutato. Parlo in particolare dei preti e della famiglia che mi ha adottato.

Non solo hanno provveduto a me, ma mi hanno anche aiutato a crescere mentalmente, a capire a poco a poco quali sono le cose giuste, quali quelle sbagliate. Per me non è stato semplice, perché vivevo in un’altra cultura molto diversa della mia, ma grazie a tutte queste persone ho imparato molte cose. Dalla mia cultura ho cercato di prendere le cose migliori e metterle insieme con il meglio della cultura italiana, mischiandole insieme e forse mi hanno fatto diventare una persona migliore, per bene.

Da qualche anno sono sposato. Con il lavoro e tanti sacrifici, adesso sono riuscito a pagare e costruire una casa. Non dirò che è bellissima, però è carina.

Tanti anni fa ho fatto quella promessa a mio padre e l’ho mantenuta!

Mohamed

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