Giubileo, De Donatis: «Vivere la carità come ministri, servi e strumenti della speranza»

«Vivere la speranza, annunciarla, aiutare a viverla e persino sperare per chi non è più capace di farlo». È questo il ministero di ogni cristiano, in modo particolare di colui che opera nell’aiuto ai fratelli in difficoltà. «Un ministero faticoso però essenziale in cui si sperimenta anche la solitudine, perché in alcuni frangenti può accadere di trovarsi a sperare da soli e contro tutti». Anche se «sperare e aiutare a sperare, soprattutto le nuove generazioni, è una responsabilità e un servizio grande per tutti i battezzati».

Oltre cento persone hanno partecipato, ieri sera, all’incontro “Giubileo 2025: chiamati a essere ministri della speranza” che si è svolto nella sala conferenze del Seminario Romano Maggiore. L’evento, pensato per volontari e operatori della pastorale carceraria e della carità, ha rappresentato un’occasione preziosa per approfondire il senso della missione giubilare alla luce della chiamata evangelica.

A guidare la meditazione è stato il cardinale Angelo De Donatis, Penitenziere Maggiore della Penitenzieria Apostolica, il quale ha offerto una lettura profonda e concreta della speranza cristiana nel servizio ai più fragili.

L’incontro è stato introdotto dal vescovo Benoni Ambarus, ausiliare delegato per la diaconia della carità nella diocesi di Roma, che ha sottolineato l’importanza di questo appuntamento nel cammino giubilare.

Il cardinale De Donatis ha iniziato la sua riflessione con un aneddoto legato a San Giovanni Maria Vianney sottolineando che «è un pellegrino di speranza che, pur raggiungendo delle mete sulla terra, indica però ai fratelli le verità che sono al cielo». «Mi piace vedere l’impegno che noi viviamo sotto questa luce, essere ministri, servi e strumenti della speranza».

Il Penitenziere maggiore ha quindi offerto tre immagini. Anzitutto, ha detto, «occorre mettere a fuoco che la vita cristiana è come un cammino e ognuno di noi è chiamato a portare a tutti l’amore del Signore; non perché sia migliore o perché sia più capace, ma perché in forza del battesimo e della confermazione è chiamato ad essere accanto all’umanità». Un cammino con molte difficoltà, in cui – secondo aspetto – la tentazione maggiore è quella di «rimanere seduti su un comodo divano». Il Giubileo, in questo senso, è un invito a risvegliare il desiderio di esplorare nuovi mondi e cuori.

Il terzo elemento di cui tenere conto è quello dell’importanza dei percorsi sbagliati, perché «anche gli errori possono essere parte del cammino, l’importante è saper ricalcolare il percorso con l’aiuto di Dio, imparando dagli incontri e dagli imprevisti».

Su questo, il relatore ha evidenziato come «i nostri percorsi sono illuminati da due momenti fondamentali che noi viviamo: l’eucaristia e la riconciliazione».

Il cardinale ha poi approfondito il concetto di speranza, evidenziandone tre aspetti fondamentali: il suo “fondamento” nell’amore di Dio, dimostrato nel sacrificio di Cristo; il “motore segreto” che è nello Spirito Santo, che infonde l’amore di Dio nel cuore dell’uomo; l’ambito in cui “attecchisce”, il cuore dell’uomo, chiamato a vivere la speranza nelle prove della vita.

De Donatis ha invitato a riflettere sui diversi Giubilei che hanno segnato la storia personale di ciascuno, chiedendosi quale speranza avessero in quel momento e cosa ne sia oggi. «Forse scopriremo che tante cose in cui speravamo, anche spiritualmente o nella vita della Chiesa, non sono state ottenute. Eppure, se consideriamo l’ambito del cuore, forse ci accorgeremo che vedendo meno le piccole speranze, si è fatta sempre più strada una speranza più grande».

Infine, invitando i presenti a un esercizio spirituale, il porporato ha proposto tre “piste” per vivere un’autentica speranza cristiana. «Attivare l’arte della memoria» per ricordare le esperienze in cui Dio ha dato segni della sua presenza e ha fatto promesse. «Osare nell’oggi» per vivere il presente con audacia, uscendo da sé stessi e superando le proprie ragioni. «L’esercizio della perseveranza», attendere cioè il compimento del futuro con il ritorno di Cristo perché «non camminiamo verso il nulla, ma verso la pienezza della vita in Dio».

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