È intollerabile e disumano che si muoia per strada, perché sprovvisti di un tetto dignitoso. Tiziano Cicerone aveva 54 anni, è morto di freddo per la strada, tra due condomini di Ostia, il giorno di Natale. Di lui sappiamo il nome, perché frequentava la mensa sociale diocesana della Caritas presso la Parrocchia di Santa Maria Regina Pacis. Un’altra donna, di 72 anni, è morta di freddo in strada, la Vigilia di Natale, a pochi metri da piazza san Pietro. Prosegue quella strage silenziosa di cui si conosce il numero, 415 poveri senza fissa dimora morti in tutta Italia nel 2023 (furono 399 nel 2022), ma raramente i nomi, i volti, le storie. Alessandro Bottero, referente di prefettura della Caritas di Ostia ha scritto: “Per chi ha perso tutto la storia e il nome sono gli ultimi beni che rimangono, e preservarli con rispetto spesso è l’unica cosa che gli impedisce di tramutarsi in esseri innominati e dimenticati.” A Roma nel 2023 sono state 44 le persone senza un tetto, morte in strada. Esseri umani che muoiono tutto l’anno e non solo in inverno: per malore; perché vittime di aggressioni o di incidenti da trasporto; per suicidio; cadute; annegamento o incendi. Si muore principalmente nelle grandi città ma non solo se i 415 decessi del 2023 sono avvenuti in ben 215 comuni italiani (www.fiopsd.org). È ipocrisia definire invisibili i senza fissa dimora, a meno che non ci si rivolti dall’altra parte o si chiudano gli occhi. I veri invisibili oggi sono le persone, soprattutto anziane, sole in casa e spesso non in grado di pagarsi il riscaldamento.
Accanto a chi si prodiga per portare conforto materiale, umano e spirituale a coloro che “vivono” in strada, cresce purtroppo l’indifferenza dei molti. Si respira una triste assuefazione a questi lampi di dolore! C’è pure una certa rassegnazione a non poter cambiare le cose. Si stenta a reagire, ad attivarsi in prima persona, come se fosse ovvio attendere interventi solo dall’alto e dall’altro. Occorre, invece, un diffuso esercizio di responsabilità individuali e collettive: non basta né ci si può aspettare che tutto venga risolto dall’alto e con il solo intervento dello stato e del pubblico, pur doverosi.
La priorità è salvare vite umane, la dignità di persone che non sono dei rifiuti. È questa la via da seguire per una conversione dei cuori e delle menti a quell’amore gratuito e universale per l’altro, per l’ultimo, a cui il Vangelo di Cristo ci provoca da oltre 2.000 anni. Il problema delle persone senza fissa dimora è che non votano; consumano e spendono quindi poco e spesso non hanno voce.
Non c’è contraddizione ma complementarità tra i due piani d’intervento su cui occorre unire gli sforzi. Serve sicuramente una strategia a medio e lungo termine per intervenire almeno su tre dimensioni interconnesse: abitativa, sociale e sanitaria. Si tratta di un processo articolato, vissuto dal basso e non calato dall’alto; in grado di puntare molto sulle risorse che ci sono sui territori e sui diversi attori disponibili (amministrazioni pubbliche, volontariato, terzo settore e privati). Un percorso da seguire negli anni, monitorando ogni tappa, ogni fase, con la tensione a stabilire sinergie con quella buona progettualità che Roma Capitale sta tracciando. Serve però lavorarci insieme, condividendo le decisioni e i programmi di azione, dando massimo rilievo in una Città di vastissime dimensioni alle soluzioni possibili e alle risorse disponibili sui territori.
Il fattore tempo è però l’ago della bilancia, per cui la priorità dell’intervento è quello dell’emergenza, quello umanitario, cioè della messa in sicurezza di esseri umani costretti per strada. Il problema di Roma sono i numeri. Il Comune di Roma sta facendo uno sforzo importante: in tre anni più 50% dei posti di prima accoglienza, arrivati a 1.500; rafforzate le unità mobili di strada e altre forme di intervento; quattro tensostrutture, per un totale di 250 posti letto, aperte 24 ore, con colazione, pasti e docce, la cui apertura si completerà entro gennaio 2025.
Ci sono però migliaia di persone che “vivono” per strada o in gravissima precarietà abitativa. In caso di forte terremoto, alluvione o grave calamità naturale, verrebbero allestiti dei centri di prima accoglienza. Nell’immediato, se la priorità è salvare vite umane, ci sono tre cose urgenti da fare.
La prima è aumentare rapidamente i posti di accoglienza a bassa soglia; assicurando l’immediato ricovero a persone che hanno bisogno di essere protette subito, seguendo una logica di housing sociale. Nei quindici municipi della Città occorre dare la precedenza ad un primo intervento umanitario, d’immediato ricovero delle persone rimaste in strada, dando vita, a costi sostenibili, ad una rete diffusa di dormitori di 25/30 persone ognuno, per dare presto un letto, cuscini e coperte; un pasto e del thè caldo a persone che a volte inizialmente non sono neppure in grado di chiedere aiuto o disponibili a riceverlo. Non dobbiamo vergognarci, in una logica di housing sociale, di ricorrere ai vecchi dormitori, aperti in inverno 24 ore su 24 ore, chiamando a raccolta le diverse realtà di volontariato della città e non solo operatori professionali che pure servono.
In secondo luogo, occorrono unità di strada con personale preparato per aiutare le numerose persone con problemi psichiatrici presenti su strada. Il ruolo delle ASL qui è decisivo, non bastano i volontari!
La terza cosa urgente è fare un rapido censimento delle strutture, dei luoghi, di ogni tipo utilizzabili senza dover sostenere costi enormi: le scuole non utilizzate che aumenteranno; i centri sportivi sottoutilizzati; le famose caserme vuote; i beni demaniali non utilizzati; le strutture religiose recuperabili. Certo oltre ai tetti c’è pure bisogno di persone che accolgano e accompagnino chi ha bisogno ma il ricco e variegato mondo del volontariato romano, insieme ad una filiforme rete di operatori professionali, può risultare decisivo.
Quale grande segno di speranza sarebbe questo nell’anno del Giubileo della speranza! La paura divide; l’amore fraterno unisce. Apriamo allora le porte dei luoghi, degli spazi disponibili nell’immediato ad accogliere chi vive per le strade. Rendiamoci disponibili come associazioni di volontariato, d’impegno civico e religioso, come amministrazioni pubbliche e pure come donatori privati a rendere sempre più Roma una città solidale.
Giustino Trinca
direttore Caritas diocesana di Roma