Nel periodo di Natale inquiniamo di più? Il quarto contributo della rubrica mensile “Pillole di ecologia integrale” propone una riflessione sull’immenso impatto ambientale dell’industria tessile, attraverso il business del Fast fashion, e alcuni consigli per limitare gli sprechi e fare un regalo anche all’ambiente.
Siamo nel pieno delle compere per le festività natalizie. Le persone corrono, il fervore è tanto, è una corsa a chi fa prima. C’è chi si appresta ad anticipare qualche regalo di Natale, chi si accaparra l’ultima taglia dell’ultimo vestito in extra-saldo che “non si sa mai, lo compro perché costa poco” o semplicemente chi pensa “devo andare a comprare qualcosa perché ci sono i saldi!”.
Ma… ti sei mai fermato a riflettere sul tema della “Fast fashion”?
Tale dinamica ovviamente è estendibile non solo al vestiario, ma a qualsiasi altro prodotto a basso costo.
Negli ultimi decenni, purtroppo, l’industria del fast fashion è letteralmente esplosa. Senza fare riferimenti ad aziende (ormai rinomate), se ci guardiamo intorno o guardiamo semplicemente all’interno del nostro cellulare, chi non ha qualche applicazione che ci bombarda di messaggi contenenti “super sconti”?
Nel nuovo contributo della rubrica “Pillole di ecologia integrale” vogliamo riflettere con voi su questo sottile legame tra ciò che indossiamo e ciò che inquina noi e il nostro Pianeta.
Il “qui e ora” ci sta uccidendo, ogni nostro desiderio, lo possiamo ottenere subito e a poco prezzo. Che sogno, non trovate? In effetti vorrei fosse solo un sogno, l’abbigliamento usa e getta ci sommerge, nel vero senso della parola. Non tutti pensano consapevolmente che la maggior parte dei vestiti che compriamo a poco prezzo sono destinati a rompersi nel giro di qualche mese ma, una volta buttati, dove finiscono?
Nel Sud del mondo esistono delle vere e proprie discariche a cielo aperto. Anche gli abiti resi dopo l’acquisto, molto spesso non vengono rimessi in commercio, ma destinati a viaggi lunghi milioni di km per poi finire in queste discariche.
Per via della iper-produzione di massa, venduta a prezzi irrisori e ovviamente realizzata con basse qualità dei prodotti, si generano enormi quantità di rifiuti e inquinamento. Senza contare i lunghissimi viaggi con grave impatto in termini di emissioni di CO2.
Limitiamoci a qualche dato:
⁃ il 25% di vestiti nuovi in un anno rimane invenduta e buttata. Solo nell’UE vengono distrutti 230 milioni di capi d’abbigliamento nuovi.
⁃ Ogni secondo un camion di abiti viene buttato nelle discariche o negli inceneritori. L’UE butta 5 milioni di tonnellate di vestiti, circa 12 chili per persona all’anno.
⁃ Molti vestiti contengono sostanze tossiche, in quantità superiori ai limiti di legge.
⁃ Meno dell’1% dei vecchi vestiti, viene utilizzato per creare nuovi. Spesso dietro false promesse di sostenibilità, si nasconde il fenomeno del greenwashing (informazioni ingannevoli riguardo la sostenibilità del capo).
Senza considerare poi che l’impatto delle nostre scelte per quanto riguarda li vestire va ben oltre il fast fashion.
A puro titolo di esempio, la maggior parte dei materiali che indossiamo sono fibre sintetiche (Nylon, acrilico, poliestere che rappresentano oltre il 60% delle fibre tessili utilizzate); le fibre sintetiche sono prodotte dalla lavorazione di idrocarburi (gas e petrolio…); materiali che, dopo i primi lavaggi, iniziano a rilasciare microplastiche. In modo molto sintetico, le microplastiche per un via o per l’altra finiscono nei nostri mari, dove vengono ingerite dai pesci che a loro volta, pescati, finiscono sulle nostre tavole.
Ce ne sarebbe in abbondanza per preoccuparsi ed attivarsi, a partire da piccoli gesti quotidiani alla portata di ciascuno, come
⁃ Riflettere, durante l’acquisto, se il prodotto mi serve veramente, aiutandosi prioritariamente a pensare all’uso che ne faremo.
⁃ Acquistare prodotti durevoli nel tempo, attenzione alla qualità, i materiali utilizzati e alla manifattura.
Per una maggiore conoscenza e consapevolezza, invitiamo a vedere la docu-serie “Junk – armadi pieni”, il racconto della visita alle discariche di vestiti a cielo aperto in sette nazioni diverse.
Laboratorio di ecologia integrale
Sara Gentili