Salute mentale tra solitudine, ritardi politici e vicinanza ecclesiale

Nei mesi estivi cresce l’esasperazione delle famiglie con in casa seri problemi di salute mentale che in estate puntualmente si aggravano. Cresce perché si aggrava la solitudine dovuta alla mancanza del necessario sostegno dei servizi pubblici, indispensabile per i casi gravi. Che dire allora della chiusura del reparto di ricovero ospedaliero per Disturbi del comportamento alimentare del Policlinico Umberto I di Roma, dal 19 luglio al 25 agosto?

Si tratta di una struttura con 4 posti letto dedicati all’assistenza integrata di neuroscienze e salute mentale; una delle pochissime pubbliche nella regione Lazio, oltre al San Giovanni (con 2 posti letto) e il Bambino Gesù (con 6 posti letto). Durante questo periodo, dimesse le ragazze ricoverate, il Policlinico potrà assicurare solo un servizio di day hospital.

Secondo la Fondazione Veronesi (www.fondazioneveronesi.it ), sono 3 milioni le persone che in Italia soffrono di disturbi alimentari, tra l’8 e il 10% sono ragazze e fino all’1% i ragazzi. Con la pandemia l’età dei minori colpiti da questi disturbi vede una crescita nella fascia tra gli 11 e i 13 anni.

Sono ormai trascorsi oltre 8 anni, esattamente 100 mesi, dal 14 marzo 2016, dall’approvazione del Decreto n. 80 della Regione Lazio per sanare la gravissima carenza di servizi per i disturbi alimentari. Un provvedimento illuminato ma largamente inattuato, nonostante le diverse maggioranze politiche nel governo regionale. Se aspettarsi delle scuse per ritardi e omissioni sarebbe troppo, non ci si può chiedere il silenzio e il minimo che possiamo come Caritas di Roma è confermare la vicinanza a migliaia di famiglie che convivono spesso sole con problemi collegati al deficit di salute mentale.  

La situazione è grave per le note ed enormi carenze di personale e di strutture necessarie ad assicurare la rete di servizi di assistenza per la salute mentale sul territorio. È sufficiente ricordare che in caso di esigenza di ricovero ospedaliero, indispensabile quando i parametri vitali dei pazienti sono talmente a rischio, le liste di attesa arrivano a 10-12 mesi! Chi può si sobbarca costi economici elevati per ricorrere a strutture sanitarie private, oppure per migrare in strutture pubbliche fuori regione. E gli altri? Molti di questi disturbi hanno come noto una forte connotazione psichiatrica e si creano situazioni talmente complesse da trattare che o ci sono adeguate cure ospedaliere oppure è a rischio l’incolumità, la vita, delle persone malate e la tenuta dei loro familiari. Non c’è da sorprendersi dunque per l’esasperazione e la verve polemica delle famiglie e delle associazioni di chi vive le malattie mentali. Non è ovviamente in discussione il diritto alle ferie di un personale sanitario vittima di quelle carenze in organico di medici e infermieri per evitare le quali poco o nulla si è fatto a livello nazionale e regionale da numerosi anni. La sanità pubblica non è un optional, perché ad essa per molti non c’è alcuna alternativa, se non quella di rinunciare alle cure. Si vuole rimettere al centro il diritto alla prevenzione e alle cure sanitarie per tutti, partendo da chi ha meno, oppure dobbiamo rassegnarci ad ulteriori e intollerabili passi indietro nella tutela della dignità di ogni essere umano anche se gravemente malato? Oltre gli aspetti sanitari e i ritardi della politica, le nostre comunità ecclesiali, possono però dare testimonianza di una vicinanza a queste persone, a queste famiglie, essendo loro accanto, fornendo quell’umano sostegno che tanto ci parla del Regno di Dio, dove carità e giustizia si incontrano e si alimentano grazie alla solidarietà umana.

Giustino Trincia
direttore della Caritas di Roma

 

Crediti foto: C. Dani, CC BY 3.0 https://creativecommons.org/licenses/by/3.0, via Wikimedia Commons

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