1° Maggio, festa che ci interpella come cristiani

Ripercorrere la vita di Gesù consente pure di riscoprire il valore del lavoro e la sua importanza ieri, come oggi e per il futuro. Egli è stato simile all’uomo anche in questo aspetto, quello del lavoro, vivendo in mezzo a pescatori, contadini e artigiani, facendo poi, fino all’età di 30 anni, il mestiere di falegname nella bottega di suo padre Giuseppe.
Sono diverse le parabole nelle quali il Signore fa riferimento al contesto lavorativo del suo tempo, per annunciare il suo messaggio di salvezza a tutti, attraverso un linguaggio semplice e comune, profondamente incarnato nella quotidianità delle esistenze.

La Dottrina Sociale, i documenti della Chiesa, dedicano da molto tempo ampio spazio ai temi del lavoro, dell’economia, fin dal 1891, con l’Enciclica “Rerum Novarum” di Papa Leone XIII.
Ai nostri giorni, Papa Francesco, nella Laudato Si’, al numero 128, afferma “Il lavoro è una necessità, è parte del senso della vita su questa terra, via di maturazione, di sviluppo umano e di realizzazione personale”.
C’è bisogno più che mai di ricordare e di festeggiare il ruolo, la necessità e l’importanza del lavoro per promuovere e tutelare la dignità della persona e per contribuire al bene comune.

Come comunità di credenti la Festa del 1° maggio ci interpella e ci invita a contribuire a scuotere le coscienze di quanti tendono a vivere questa ricorrenza come una tra le altre, non riflettendo sui suoi significati più profondi e sulla necessità di un rinnovato e corale impegno per promuovere e tutelare quei diritti che nel mondo del lavoro restano spesso dichiarati ma non rispettati.
Tutto questo ci interpella, come Chiesa di Roma e quindi come Caritas, perché viviamo in una meravigliosa città dove le disuguaglianze crescono invece di regredire; dove c’è tanta ricchezza, accanto a tanta povertà (di ogni genere!); dove il lavoro, pari forse alla precarietà dell’abitare e alla diffusissima solitudine, sono i veri banchi di prova di un agire politico, economico e sociale che sia in grado di rinnovare un’autentica speranza nel cambiamento, nella riscoperta della centralità della dignità umana.
C’è troppo lavoro povero in città, regolare ma povero; c’è tanto lavoro nero (ipocritamente definito informale) in città; ci sono troppi giovani e troppe donne ai margini quando parliamo di lavoro e c’è ancora troppa distanza tra l’offerta formativa esistente e quella necessaria per il lavoro che oggi serve. Occorre destare l’attenzione sulla sicurezza in molteplici settori lavorativi. C’è di mezzo la vita delle persone, la tenuta delle famiglie, delle relazioni e degli affetti e la possibile privazione di quella tenerezza sociale ed affettiva di cui necessitano soprattutto i bambini, i figli che non possono essere privati della presenza del papà o della mamma perché vittime di gravi incidenti sul lavoro.

Promuovere il lavoro è un campo della carità, una carità strettamente unità alla giustizia e che ad essa dà luce e significato. Come Chiesa e Caritas di Roma un tentativo lo stiamo facendo con il progetto dell’Officina delle Opportunità, per l’inclusione lavorativa e sociale delle persone in maggiori difficoltà, grazie al sostegno della Regione Lazio e di Roma Capitale e un grande impegno su questo terreno, rivolto soprattutto ai giovani, lo sta portando avanti da anni l’ACLI di Roma. Ci stiamo provando, per andare al di là delle parole.
Cosa altro possiamo fare come comunità dei credenti nel Risorto? Almeno tre cose: rafforzare la preghiera per il vastissimo mondo del lavoro e per i lavoratori tutti; educare ai valori e ai significati del lavoro, alle sue complessità odierne e al rispetto dei diritti dei lavoratori; dare l’esempio, come singoli e comunità, con comportamenti equi, giusti e solidali.

Giustino Trincia
direttore Caritas di Roma