La portata profetica e la capacità interpretativa della Dottrina sociale

La Caritas di Roma propone per il secondo anno un percorso di formazione insieme al Pontificio Istituto Teologico “Giovanni Paolo II” rivolto agli animatori della carità e agli operatori sociali.

Nell’edizione dello scorso anno ponemmo al centro il tema della “Cura di comunità e della innovazione sociale” e grazie al coinvolgimento anche di diversi operatori delle Opere segno della Caritas diocesana, vennero affrontati temi come quelli della cura delle persone fragili; e dei caregivers, cioè delle persone, soprattutto i familiari che delle prime si fanno carico; della cura delle relazioni, in ambito familiare, parentale, di prossimità e di vita comune; delle nuove attenzioni da rivolgere agli anziani e ai non autosufficienti; della cura e della qualificazione dei servizi residenziali e semiresidenziali; della cura delle nuove forme di abitare collaborativo, come l’housing sociale e le comunità familiari.

Questa seconda edizione è dedicata invece alla Dottrina Sociale della Chiesa. Consentitemi di offrirvi tre brevi spunti di riflessione, riassumibili in tre parole: continuità; sussidiarietà e interrogativi.

1. Continuità
È quella che rilevo esserci tra questo corso che inizia oggi e il Rapporto sulla povertà a Roma – Le Città Parallele – che sempre alla presenza del Cardinale De Donatis, del Sindaco e del Presidente della Regione, abbiamo presentato in Vicariato lo scorso 13 novembre.

Nel Rapporto della Caritas abbiamo presentato alcune grandi grida della Città. Le ricordo: l’aumento della richiesta di aiuto; la questione abitativa; l’aggravarsi delle difficoltà di accesso al SSN; il sovraindebitamento e la questione lavorativa. Nel Rapporto non ci siamo limitati a segnalare le criticità, ma abbiamo messo in evidenza dei segnali di speranza e formulato diverse proposte per contribuire ad affrontare e a superare queste situazioni di sofferenza per tante persone e famiglie che vivono a Roma.

C’è uno stretto legame tra il Rapporto povertà e quel giacimento di sapienza e di riflesso evangelico costituito dalla Dottrina Sociale della Chiesa. Il primo ci indica la via che i poveri di Roma ci chiedono di seguire; la Dottrina Sociale della Chiesa ci indica i principi, i valori del nostro impegno e la luce da cui farci illuminare per contribuire, come uomini liberi da ogni condizionamento politico ed economico, alla promozione umana di troppi fratelli e sorelle poste ai margini se non proprio rifiutate dalle nostre società. Le tre tappe di questo Corso possono aiutarci a rafforzare la speranza e ad avere una visione più alta del valore dell’impegno di ognuno di noi, come singoli, come comunità, come Chiesa di Roma.

2. Sussidiarietà
È importante ed è necessario riscoprire e riappropriarci della portata profetica e della capacità interpretativa della realtà che ci circonda, della Dottrina Sociale della Chiesa. Lo è per noi tutti, il più delle volte così tanto impegnati, nel promuovere segni di rinascita tra le persone in maggiori difficoltà e non solo dal punto di vista materiale, in particolare attraverso le opere di carità (senza dimenticare l’importanza che possono avere poche parole pronunciate con il cuore e l’intensità dell’incrociare i nostri occhi con quelli di chi chiede aiuto).

Il rischio che noi corriamo è a volte quello di pensare che possiamo fare da soli e che attraverso il nostro fare tutto o quasi si possa risolvere e diamo a volte poca attenzione a responsabilizzare le pubbliche amministrazioni e le stesse categorie economiche rispetto a delle responsabilità che vanno esercitate da tutti, in particolare dalle istituzioni pubbliche e non solo da alcuni. La Dottrina Sociale della Chiesa e penso anche alla ricchezza del Magistero sociale del nostro Vescovo – Papa Francesco – in particolare con le sue encicliche Laudato Sì e Fratelli tutti, ci educa invece ad interrogarci sulle cause di troppe situazioni di povertà e a spenderci affinché si intervenga su di esse. La DSC ci stimola ad essere pungolatori intelligenti, miti ma fermi, verso coloro che invece di esercitare le proprie responsabilità pubbliche, sono sempre più propensi a delegarle al variegato mondo del volontariato laico e religioso, delle risposte a problemi gravi e complessi. Noi però possiamo essere solo una parte delle risposte da dare e non le risposte tout court. Sostituirci alle istituzioni pubbliche non ha nulla a che fare con quella sussidiarietà orizzontale o circolare di cui la cultura cattolica è stata culla e che la Costituzione Italiana sancisce all’articolo 118 ultimo comma e rischia, invece, di precipitarci in uno sterile neo-assistenzialismo che con la promozione umana e forse con la carità ha poco o nulla a che vedere

3. Interrogativi

Concludo con questa parola per riflettere sulle risposte da poter dare a qualche domanda, del tipo: come potrò condividere gli spunti, le riflessioni, i suggerimenti che sto raccogliendo in questo corso di formazione, con la mia comunità parrocchiale o religiosa a cui appartengo?

L’augurio con cui concludo è che i tre pomeriggi di formazione siano fecondi di un rinnovato entusiasmo e di idee nuove su come promuovere la solidarietà e la corresponsabilità nei nostri quartieri, nei luoghi, negli ambienti, dove il Signore ci ha posto per vivere il Vangelo con lo sguardo rivolto al presente.

I tre verbi – apprendere, includere, prendersi cura – che sono il filo conduttore dei nostri lavori, rappresentano per la Caritas di Roma delle chiavi di lettura essenziali per riuscire a comprendere, a riconoscere i profondi cambiamenti in atto nella Città e, soprattutto, i nuovi segni dei tempi e con essi le risorse con cui poterli accompagnare e valorizzare come possibili nuovi scenari di promozione e di testimonianza della carità.