Addio a Gianni Novelli, fondatore di Cipax. Il ricordo di Oliviero Bettinelli

Il 28 novembre è venuto a mancare Gianni Novelli, fondatore del Centro interconfessionale per la pace (CIPAX). Nato a Roma nel 1936, avrebbe compiuto 87 anni il prossimo 6 dicembre. Novelli, instancabile promotore di cultura e di pace, ha fatto del suo percorso di attivismo una viva testimonianza della sua fede cristiana.

Noto per le sue collaborazioni con Pax Christi, con le chiese e le riviste protestanti, con esponenti di tutte le religioni, in ambito nazionale internazionale, più volte il percorso si Gianni si incontrato con quello della Caritas di Roma. Insieme a don Luigi Di Liegro è stato per anni promotore delle celebrazioni in ricordo di Oscar Romero.

Il suo ricordo nella testimonianza di Oliviero Bettinelli, vice direttore dell’ufficio diocesano per la Pastorale sociale, del lavoro e della custodia del creato.

Il terrazzo di Novelli con la bandiera della pace

Da quando lo ho conosciuto Gianni è sempre stato uguale. Quando lo incontravi e lo abbracciavi ti accorgevi che da quando lo avevi visto la prima volta non era cambiato per niente. Una fisionomia immutabile; stesso viso, stessa erre moscia, stessa barba e stesso sorriso riservato, quasi timido, con cui accompagnava ogni parola, riflessione, pensiero. Quel sorriso era inconfondibile e lo vedevi arrivare da lontano e sapevi che ti avrebbe portato in dono una persona speciale.

Ho incontrato Gianni la prima volta alla vecchia sede del Cipax, a Via degli Acciaioli. Eravamo a metà degli anni 80. Via degli Acciaioli era, e forse lo è ancora oggi, la sede di Adista, un settimanale di informazione indipendente su mondo cattolico e realtà religiose in prima linea contro i compromessi e l’ipocrisia, ideologica il giusto e profonda il necessario. Ero a un incontro in un luogo di confine, tra “artigiani di pace”, pacifisti di vecchia data , giovani obiettori di coscienza, membri di Pax Christi, studenti universitari, e si ragionava di nucleare, delle basi missilistiche di Comiso, del commercio delle armi, dei popoli oppressi dalla violenza, del ruolo della Chiesa, delle esigenza di progettare la Pace. Lui con estrema dolcezza e con altrettanta lucidità spiegava, sfornava dossier, ti ascoltava da dentro la sua incrollabile, mite e definitiva convinzione: alla luce del Vangelo quegli affari per i cristiani erano inconcepibili e inconciliabili.

Gianni era un uomo di ascolto e di dialogo, non dava mai l’idea della fretta, la sua pacatezza era un marchio di fabbrica ma la sua determinazione non conosceva ostacoli. Con meticolosa e consapevole pazienza, muovendosi in punta di piedi, metteva insieme gruppi, partecipava alle manifestazioni, pubblicava libri, organizzava marce, momenti di preghiera e di riflessione. Dopo qualche anno, in autunno, organizzammo insieme la Settima della Pace: una settimana di appuntamenti in città nei luoghi più disparati, dalle parrocchie, alla istituzionalissima Protomoteca in Campidoglio, fino alla festa finale in piazza Navona. Durante gli incontri organizzativi con le molte realtà coinvolte ci aiutò a sperimentare la difficoltà e la possibilità di gestire i conflitti.

Gianni era schierato e i suoi orizzonti erano definiti: giustizia, pace e cura del creato in un contesto e in una visione ecumenica che stava acquistando vigore in quel periodo e che dava prospettive di speranza.  E lui era il nostro anello di congiunzione. Se volevi i documenti di Basilea o di Seul, rigorosamente ciclostilati o fotocopiati, Gianni te li forniva. Li conservo ancora oggi, anche se un po’ ingialliti, ma non hanno perso il loro vigore e ancora trasudano una visione di fede senza fronzoli, profonda e permeante, al punto di portarlo a non temere di  pagare di persona la solitudine e l’incomprensione per poterla testimoniare senza incertezze. Quando arrivava in ufficio con i manifesti la preghiera e i canti per la messa di Romero mischiava senza pudore la tenerezza e il dolore in un’unica espressione. Non concepiva che si potesse ridimensionare la figura di un vescovo che per lui era un suo punto di riferimento in quanto uomo di Dio capace di offrire la vita per proporre e testimoniare  una visione di fede vissuta in modo radicale.

In tutto questo la sua visione ecumenica era inossidabile e allo stesso tempo  una boccata di ossigeno che sapeva trasmettere nei pensieri e nei fatti, proponendo con il Cipax momenti di confronto di preghiera senza barriere.

L’ho visto l’ultima volta alcuni giorni fa. Siamo andati, con un amico, a trovarlo a casa sua. Ci aveva da tempo invitato a pranzo.  Chiacchieravamo in libertà, ci confidavamo i programmi futuri e ricordavamo con riconoscenza il passato. Eravamo ultimo piano e  dalla finestra del piccola cucina dove eravamo seduti, si vedeva il suo terrazzo con piantata ad un angolo una bandiera della pace, un po’ consunta ma che sventolava con energia. Stava li da tempo. Ce la mostrò con orgoglio e noi la guardammo con tenerezza. Mi piace pensare che lui in quel momento abbia colto la nostra riconoscenza per tutto il bene che, attorno al simbolo, lui ci ha voluto e ci ha donato. Mancherà. E non solo a noi.

Oliviero Bettinelli
vice direttore dell’ufficio diocesano per la Pastorale sociale, del lavoro e della custodia del creato