Caro affitti, editoriale di Giustino Trincia

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Le città italiane con oltre 70.000 abitanti sono appena 81. Potremmo aggiungerne una, quella “formata” dai circa 70.000 studenti universitari fuori sede della Capitale (Eures) che allorquando cercano una camera (il minimo dunque), si trovano a dover pagare 500 euro al mese, oltre ai costi delle bollette e a quelli, inevitabili, per le spese quotidiane. È uno dei tanti volti, purtroppo, del grave deficit di politiche abitative nella Capitale negli ultimi 25 anni.

In Italia ci sono 824.000 studenti universitari fuori sede, solo il 4,9% di essi possono usufruire dei 40.000 posti letto in residenze pubbliche o convenzionate con gli enti pubblici per il diritto allo studio. Dati forse da collegare al boom delle università online?

Recentemente un’associazione di giovani studenti universitari (GenQ), ha lanciato nuove proposte per vincere il caro affitti, come, ad esempio, l’obbligo della partita iva per chi affitta ai turisti in una casa in cui non vive. Sono gli affitti brevi, un fenomeno diffuso in diversi quartieri tra San Pietro, Trastevere, Testaccio, Campo de’ Fiori, Aurelio, Monteverde, mentre a Roma dal 2014 al 2019 la popolazione residente nel centro storico è diminuita di ben il 35,8% (solo a Trastevere, del 43,1%).

Alcuni interrogativi. Per quanti gli affitti brevi sono la soluzione necessitata per integrare pensioni, salari, stipendi, intaccati da un’inflazione a due cifre e dai continui aumenti del costo della vita? E quanto, invece, questo esodo “forzato” di popolo, di residenti, va ad accentuare l’insicurezza o la percezione di insicurezza, di interi quartieri, di zone più o meno centrali che gruppi di interessi cercano di attribuire solo alla presenza di poveri, di senza dimora in particolare e dunque di chi cerca di aiutarli, prevenendo spesso il peggio? Non se ne può più degli appelli, della retorica sul valore e sul ruolo dei giovani. Le risposte vanno trovate insieme.
È cruciale il concerto delle istituzioni pubbliche, perché la Capitale d’Italia necessita anche di un lavoro corale da parte di Governo, Roma Capitale e Regione Lazio, per mettere a punto soluzioni a breve, medio e lungo termine.

È essenziale il contributo dei singoli e delle comunità: oltre 120.000 sono gli alloggi sfitti a Roma, quanti, con un po’ di buona volontà e d’esame di coscienza, potrebbero essere messi a disposizione a costi ragionevoli, sostenibili e con le debite garanzie, di studenti stretti tra il desiderio di poter studiare e di contribuire al bene comune e condizioni capestro per accedere ad una camera in alloggi dignitosi e sicuri? La testimonianza della comunità cristiana e della Chiesa sono altrettanto importanti. La Parola di Dio ricorre moltissimo nell’Antico come nel Nuovo Testamento alla figura della casa, al valore dell’abitare e dell’accogliere. Occorre dare seguito con segni tangibili.

La Caritas di Roma dispone di “soli” 14 appartamenti che gestisce nella logica dell’housing sociale, accogliendo persone senza dimora, con una lista di attesa molto lunga. Diverse parrocchie romane, inoltre, partecipano con generosità a forme di accoglienza diffusa.

Si potrebbe pensare di destinare immobili inutilizzati, sia del patrimonio di enti ecclesiastici che di quelli privati, per ospitare studenti in difficoltà?

Problemi semplici non ce ne sono, ma dei cambiamenti vanno introdotti. Non ci si può affidare in troppi ambiti cruciali come quello dello studio, dell’abitare, del lavoro, dell’assistenza sanitaria, dell’accoglienza e dell’integrazione sociale, agli automatismi del mercato, al solo rapporto cioè tra domanda e offerta. I giovani; le donne, le mamme sole con bambini; le tantissime persone povere della città, non possono più attendere.

Stiamo rischiando lo sfilacciamento del tessuto sociale e del già precario rapporto di fiducia verso le istituzioni pubbliche e il sistema democratico.

Giustino Trincia
diacono, direttore Caritas di Roma
Roma Sette del 24 settembre