«Seminare il bene, affidandoci al Signore»

Insieme al cardinale Enrico Feroci la festa delle “Famiglie in Corso”: cinque anni del servizio per i nuclei in difficoltà

Famiglie e accoglienza. Un binomio che è anche la mission di Casa San Giacomo, la realtà della Caritas diocesana a via del Corso, a pochi passi dalla parrocchia di San Giacomo in Augusta, dove sabato 22 luglio si è tenuta la festa “Famiglie in Corso”, per rendere omaggio ai cinque anni di attività della struttura che si prodiga per il sostegno ai nuclei familiari con figli minorenni. Una festa iniziata con la celebrazione della Messa presieduta dal cardinale Enrico Feroci – che diede il via al progetto quando era direttore della Caritas di Roma – e proseguita con la visita, insieme all’attuale direttore il diacono Giustino Trincia, di una rassegna fotografica che documenta i momenti salienti delle attività di Casa San Giacomo.

«Siamo qui per rendere grazie al Signore – ha affermati Feroci – perché in questi anni, mentre ci siamo prodigati per fare del bene, spesso non senza difficoltà, Lui agiva e ci metteva in condizioni di farlo. La gratitudine ci aiuta anche a comprendere come dare risposte ai bisogni di tanti nostri fratelli, in tal senso la Scrittura è e deve essere sempre sostegno per le nostre attività». Il suggerimento di Feroci – al quale ha fatto eco Giustino Trincia – è stato quello «di avere fiducia nel Signore che, così come brucia la zizzania e coglie il grano, allo stesso modo sa ogni giorno estrapolare da ognuno di noi il bene e renderlo concreto», proprio come si cerca di fare con Casa San Giacomo. Il cardinale, inoltre, durante l’omelia, commentando la parabola del seminatore che sparge il buon seme nel suo campo, l’ha ricollegato proprio all’attività di Casa San Giacomo, «perché siamo sempre chiamati a seminare il bene e non chiederci mai il perché o cosa avremo in cambio. Ci dobbiamo affidare».

La realtà di Casa San Giacomo «può ospitare in tutto fino a 7 famiglie, in altrettanti appartamenti disposti su 4 piani», ed accoglie i nuclei, spesso di stranieri o migranti, che hanno i propri figli all’ospedale Bambino Gesù e non possono permettersi un alloggio, come spiegano alcune volontarie. In più c’è la possibilità, in casi di emergenza e per brevi periodi, di ospitare altre due famiglie. All’ultimo piano c’è poi un programma di psicoterapia, rivolto in particolare a chi ha subito violenze e torture. Un ruolo fondamentale per la gestione della Casa è ovviamente svolto dal parroco di San Giacomo don Giuseppe Trappolini, che ha «fortemente voluto festeggiare questi cinque anni invitando il cardinale Feroci», oltre che l’opera quotidiana di cinque donne appartenenti all’Istituto Secolare delle Piccole Apostole della Carità, anch’essere residenti nella struttura, che come da loro vocazione e carisma si prodigano, spiegano, «nell’ottica della convivialità delle differenze». Differenze che, come racconta la stessa mostra fotografica, hanno ispirato Casa San Giacomo a prendersi cura delle famiglie secondo quattro direttrici: accogliere, includere, accompagnare e andare verso l’autonomia.

Come spiegano sempre le Piccole Apostole della Carità, l’accoglienza è di «cuore, tramite la preghiera, la condivisione, la fraternità e, con chi ha la fede cristiana, nella comunione ecclesiale». Sono molti, per quanto riguarda l’inclusione, i momenti di questi cinque anni i cui scatti animano la mostra: dai compleanni degli ospiti alle feste di carnevale, fino ovviamente alle solennità di Natale e Pasqua. L’accompagnamento, poi, è diventato ancor più forte dopo la pandemia di Covid-19 e con la guerra in Ucraina, come successo con alcune famiglie «e con nonna Valentina, con la quale abbiamo fatto un percorso anche per il suo rientro in Ucraina» non appena la situazione è diventata meno pericolosa. Infine, lo sguardo verso il futuro, cercando di dare alle famiglie un modo per proseguire da sole, in autonomia: dunque i corsi di lingua per gli stranieri, le raccolte fondi, i laboratori di uncinetto e la creazione di «famiglie solidali», per mettere in rete quanta più gente possibile e creare così nuove prospettive e possibilità anche lavorative. A conclusione della serata un momento conviviale con piatti etnici e musica sul terrazzo della struttura.

(Salvatore Tropea, Romasette.it)