I giovani di “Tata Giovanni” in Carovana per la Pace

Le testimonianze dei giovani accolti nel centro di accoglienza “Tata Giovanni”, che hanno partecipato alla Carovana della Pace.

«Ci siamo sentiti pienamente parte di questa carovana per la pace, in quanto abbiamo il dono di accogliere ragazzi sempre tanto diversi tra loro per cultura, religione, lingua e storia e, valorizzando le reciproche diversità, pur a volte tra alcune incomprensioni iniziali, vediamo costruirsi ambiti di pace». Così gli operatori del centro di pronta accoglienza minori “Tata Giovanni” che, a chiusura del mese di gennaio, dedicato alla pace, hanno accompagnato alcuni giovani della struttura al corteo festoso e colorato promosso da Azione cattolica dei ragazzi della Diocesi di Roma lungo le strade della Capitale.

Come cercare di essere “strumenti di pace e carità”?

«Pur con tutti i limiti e le difficoltà quotidiane – hanno dichiarato dal Centro “Tata Giovanni” – cerchiamo innanzitutto di avere tra noi operatori un clima di amicizia, stima e serenità. Poi proviamo spesso ad andare al di là di quanto strettamente richiestoci dal servizio, per andare incontro alle esigenze particolari dei ragazzi accolti in quel dato momento con attività esterne, sport, laboratori manuali, artistici, redazione di giornalini e laboratori di formazione sui più svariati temi».

Durante il cammino di pace sono state condivise alcune testimonianze dei giovani accolti, che pubblichiamo in forma anonima.

Solo ora me ne rendo conto. Sono arrivato nel pomeriggio al centro di accoglienza – finalmente un posto sicuro! – e, svanita l’emozione per la novità, ho realizzato che per almeno 4 anni non rivedrò più la mia famiglia. Sono partito poco più di due mesi fa dall’altra parte del Mediterraneo con un vestito e un cellulare, l’unico oggetto che in questo momento conta perché mi tiene collegato ai miei. Questa sera, dopo aver chiuso la videochiamata grazie alla connessione al wifi del centro, non saprei dire se provassi rabbia o malinconia: so solo che ho pianto, cercando di non farmi vedere dagli altri. Ho 14 anni, qualche anno di scuola e il sogno di poter aiutare la mia famiglia e dare un senso alle lacrime di mia madre mentre mi abbracciava per l’ultima volta e mi diceva che era la scelta migliore. Lì non c’era futuro per me. Poi è iniziato il viaggio. In Libia mi è andata tutto sommato bene. Ho visto vari amici che venivano frustati col bastone o col calcio del fucile. A me non hanno fatto nulla. Sul barchino nel mare deserto di acqua ho avuto paura di morire! Cinque interminabili giorni che ancora oggi mi appaiono in mente come incubi di notte e quando meno me l’aspetto. Qui al centro mi hanno dato da mangiare, dei vestiti nuovi e sono tutti gentili. L’assistente sociale mi ha spiegato che in Italia chi ha meno di 18 anni ha diritto alla tutela e che ci deve essere un tutore, che fa le veci dei genitori. I miei coetanei qui sono considerati piccoli. Da noi alla mia età siamo già adulti e dobbiamo sbrigarcela da soli…

Sono partito a 17 anni e mezzo. Un azzardo, mi dicevano, ma io ho voluto provare. Negli ultimi giorni l’ansia mi è salita a mille. Gli educatori del centro ogni tanto mi rassicuravano, ma io non riuscivo a stare tranquillo. Come vi sentireste se fossero in gioco tutti i sacrifici di una vita fatti dai tuoi genitori, con l’imminente pericolo di trovarsi con un pugno di mosche in mano e senza poter tornare più indietro? Non so, io ci stavo male da passare notti intere insonni. Fra qualche giorno, mi dicevo, compirò 18 anni, perderò qualsiasi diritto compresa la possibilità di avere un tetto sopra la testa. I centri per adulti non hanno posti in questo momento e amici che possano ospitarmi non ne ho. Andrò su qualche panchina con il pensiero amaro di aver deluso i miei. Poi è arrivata la notizia dell’assegnazione del pds almeno provvisorio in attesa del parere e poi… Gli operatori sono riusciti a trovarmi un posto in un dormitorio. Potrò continuare la scuola di italiano e avere un posto dove stare! Sono felice e per un momento dimentico questi ultimi lunghi mesi di detenzione in Libia, di viaggio in mare aperto, di notti all’addiaccio e ringrazio per questo ultimo mese qui al centro. Oggi sono diventato maggiorenne e oggi ho ritrovato la speranza di un futuro. Forse. Ma confido che Dio lo voglia.