“Nulla è perduto con la pace! Tutto lo è con la guerra!”

L’appello coraggioso dei vescovi russi che indicano la via della pace e dell’obiezione di coscienza

Il confronto in Ucraina è degenerato in un conflitto armato su larga scala, che ha già cancellato migliaia di vite, ha minato la fiducia e l’unità tra le nazioni e i popoli, e minaccia l’esistenza di tutto il mondo. Come sei mesi fa, noi desideriamo ripetere il magistero della Chiesa, secondo il Santo Vangelo e l’antica Tradizione: la guerra non è mai stata né mai sarà un mezzo di risoluzione dei problemi tra le nazioni; «Nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra» (Pio XII, 1939).

Queste parole sono l’incipit dell’appello lanciato due settimane fa da monsignor Paolo Pezzi, arcivescovo metropolita della Madre di Dio a Mosca a nome della Conferenza episcopale dei Vescovi cattolici in Russia.

Mentre qui da noi si continua ad attaccare chi parla di pace costruendo la pace, come se fossimo noi i responsabili delle morti e delle vite stravolte dalla guerra in corso in Ucraina dal 24 febbraio scorso, mentre l’accoglienza e le relazioni instaurate con i profughi passano in quarto piano perché non fanno più notizia, mentre per i più disagiati iniziano comunque a fare personale notizia gli aumenti sulle bollette generati dalla crisi conseguente alla guerra, mentre chi osa ragionare di pace è tacciato di poterselo permettere perché tanto i rischi li corrono altri, i Vescovi della Russia ci indicano la strada con coraggio e limpidezza.

Sottolineando come Oggi i nostri cuori sono pieni di dolore e di impotenza per l’incapacità di fare qualcosa o anche solamente di trovare parole giuste, si affidano e rilanciano le parole pronunciate da Papa Francesco in Kazakhistan: «Non abituiamoci alla guerra, non rassegniamoci alla sua ineluttabilità. Andiamo in aiuto di chi soffre e insistiamo perché si provi davvero a raggiungere la pace. L’unica via d’uscita è la pace, e l’unica strada per raggiungerla è il dialogo».

Il documento in poche righe riesce a toccare ancora una grande profondità, richiamando la priorità della coscienza e facendo appello alle leggi dello Stato per tutelare il diritto all’obiezione di coscienza.

Sappiamo che in determinate circostanze le autorità statali non solo hanno il diritto, ma devono anche usare le armi ed esigere dai cittadini l’adempimento dei doveri necessari per la difesa della patria; e che coloro che compiono rettamente il servizio militare per la patria servono il bene comune. Tutto questo è vero se le azioni militari sono finalizzate a una più rapida conclusione del conflitto e ad evitare il moltiplicarsi delle vittime (Cfr. il Catechismo della Chiesa cattolica 2307-2317).

In conclusione, la questione se sia ammissibile partecipare alle azioni di guerra è una questione che riguarda la coscienza personale, che è il santuario più segreto e sacro dell’uomo, nel quale egli è solo con Dio, e al cui giusto giudizio è sempre tenuto a obbedire (ibid., 1795, 1800).

D’altra parte, la Chiesa ricorda alle autorità dello Stato che esse «devono trovare una giusta soluzione nel caso in cui una persona si rifiuti di imbracciare le armi per sua convinzione, pur rimanendo obbligata a servire la comunità umana in altro modo» (ibid., 2311). Questo diritto è sancito dall’articolo 59, paragrafo 3, della Costituzione della Federazione Russa e ne chiediamo l’osservanza coerente.

Parole forti ed illuminanti nella loro semplice fedeltà al valore della sacralità di ogni vita, cui non dovremmo mai anteporre alcun interesse.

Il testo integrale dell’appello tradotto in italiano

Andrea Guerrizio
equipe Emergenza Ucraina – Caritas di Roma