«Un’altra vittima del nostro sistema»

Il vescovo Benoni Ambarus ha presieduto la veglia si preghiera per Adelina

«Nel frastuono e nell’indifferenza della società è passata quasi inosservata un’altra vittima del nostro sistema». Sono state queste le prime parole pronunciate dal vescovo Benoni Ambarus, incaricato per la pastorale della carità, dei migranti e delle missioni, nel corso della veglia di preghiera in ricordo di Alma Sejdini, celebrata il 16 novembre scorso, nella basilica di San Bartolomeo all’Isola e promossa dal Coordinamento degli organismi ecclesiali impegnati nel contrasto alla tratta nella diocesi di Roma.

Adelina – come la chiamavano tutti – alla fine si è tolta la vita. Quarantasettenne di origini albanesi, ex vittima di tratta per la prostituzione, si è lanciata da ponte Garibaldi nella notte tra il 5 e il 6 novembre. La sua è la storia di una donna che si è sentita abbandonata dallo Stato, dimenticata nel limbo di una burocrazia troppo spesso lenta e miope. Rapita, ancora adolescente, da un’organizzazione albanese, Adelina arriva in Italia a bordo di un gommone, finendo poi sulla strada, dove diventa schiava di sfruttatori senza pietà. «Sono finita a prostituirmi nel Varesotto, ho subito l’inferno delle torture e delle botte, tant’è che ancora oggi porto le cicatrici sul mio corpo – è una delle sue testimonianze lette durante la veglia -. Ne ho una sulla gamba destra che mi hanno fatto aprendomi un taglio profondo con il coltello». Sofferenze e umiliazioni che spingono la donna a denunciare i suoi aguzzini: ne fa arrestare 40 e ne denuncia 80, liberando così 10 ragazze. Da quel momento in poi Adelina diventa un esempio di impegno nel contrasto alla tratta e in azioni di sensibilizzazione, prendendo parte a convegni e a programmi televisivi. «In Italia nessuna donna può prostituirsi da sola, neanche se lo vuole», spesso ripeteva.

Una battaglia durata quasi 20 anni, fino a quando nel 2019 le viene diagnosticato un grave tumore al seno, che la porta a trasferirsi a Pavia, dove viene accolta dalla diocesi. Invalida al 100%, senza una casa e un lavoro, all’ultimo rinnovo del permesso di soggiorno Adelina ottiene la cittadinanza albanese e non italiana, perdendo così il diritto ai sussidi e lo stato di apolide: un brutto colpo per lei che aveva timore di tornare nel suo Paese di origine dopo aver denunciato il racket della prostituzione. Come forma ultima di protesta, prova a darsi fuoco davanti al ministero dell’Interno, ma il suo appello di aiuto cade nel vuoto. È il 5 novembre, il suo ultimo giorno di vita, quando le viene consegnato il foglio di via.

«Adelina ha dato una lezione a tutti, contribuendo ad abbattere le ingiustizie e mettendo a repentaglio la sua stessa sorte, con il rischio di peggiorarla infinitamente di più – ha commentato don Ambarus -. Tuttavia, ha scelto di farlo perché gli altri potessero soffrire meno di lei. Ciascuno di noi ha toccato con mano come i poveri e i disperati siano maestri della nostra vita». Come Chiesa «desideriamo da una parte riflettere sulle iniquità della nostra società, dall’altra fare di tutto perché queste cose non si ripetano», ha aggiunto il presule, invitando i presenti a un momento di silenzio «in cui portare davanti al Signore sia coloro che delle ingiustizie hanno fatto una ragione di vita sia le persone sfruttate». Infine, rivolgendo un pensiero ad Adelina ha concluso: «A questa donna, che ha finalmente trovato la pace nella casa del Padre, dico, a nome di tutti, “grazie” perché ha accettato di rischiare, e chiedo perdono perché la sua fiducia è stata totalmente disattesa». La veglia di preghiera in suo ricordo si è conclusa con una processione fino a ponte Garibaldi, lì dove la speranza di Adelina è svanita del tutto.