Gioco d’azzardo: c’è ancora spazio in questa economia?

Nei giorni in cui ci si interrogava su cosa avrebbe comportato la “fase due” dell’emergenza Covid-19, su quando avrebbero riaperto aziende, servizi per l’infanzia e scuole, negozi, ristoranti… la notizia della ripresa del Lotto e del Superenalotto scorreva con insistenza tra i titoli in calce a vari tg nazionali, come avviene alle notizie di particolare rilevanza.

Una determinazione dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di Stato del 23 aprile aveva infatti stabilito i tempi di riavvio delle varie forme di gioco d’azzardo: dapprima alcune tipologie di estrazioni numeriche da remoto, poi, dal 4 maggio, quelle che richiedono l’intervento da parte del personale dei Monopoli, “nel rispetto delle misure di sicurezza sanitaria”, tra cui appunto Lotto e Superenalotto.

La stessa determinazione aveva previsto inoltre la riattivazione delle slot machines e la ripresa delle scommesse negli esercizi esenti dall’obbligo di chiusura dall’11 maggio.

La reazione di enti, associazioni, giornalisti e studiosi che da anni denunciano e contrastano la piaga sociale del gioco d’azzardo è stata immediata. In un contesto generale di smarrimento e di incertezze economiche e sociali, la decisione di lasciare campo libero al gioco d’azzardo, alle sue forme più pericolose come sono slot machine e videolottery, è apparsa subito come ennesima scelta politica che antepone l’interesse economico al benessere comune.

La protesta ha contribuito a un passo indietro. Attraverso un’ulteriore Determinazione che ha eliminato i capoversi contestati, i Monopoli hanno sancito di fatto la prosecuzione della sospensione di scommesse e macchinette (Comunicato Stampa del 29.04.2020).

In tutto questo, va comunque sottolineato che la vendita dei Gratta e Vinci in edicole e tabaccherie non si è mai interrotta e che la sospensione delle altre forme di azzardo è avvenuta gradualmente e ben dopo la sospensione di altre attività produttive e di consumo: le slot machine il 12 marzo, varie tipologie di estrazioni numeriche il 30 marzo, quando la società era confinata in casa da settimane.

Viene da chiedersi: perché il gioco d’azzardo sembra avere la precedenza sempre su tutto?

Perché può godere di un trattamento “differenziale”, tale per cui, mentre tutto il Paese era sottoposto al blocco, ad eccezione di servizi e attività essenziali, il gioco d’azzardo ha potuto almeno in parte proseguire? È forse così infiltrato nella quotidianità dei consumi e delle attività commerciali da poter aggirare anche il lockdown generale?

Negli ultimi anni, dopo accesi dibattiti ed esiti alterni, la politica ha finalmente compiuto scelte per arginare la proliferazione dell’azzardo nella società: il divieto di pubblicità e la limitazione degli orari di funzionamento delle slot machines e videolottery sono tra le più rilevanti.

Oggi, mentre il mondo della sanità, dell’assistenza sociale, dell’educazione sono in affanno e si interrogano su come e quando ripristinare una qualche normalità, le associazioni di categorie del gioco d’azzardo, come nulla fosse, chiedono di riallungare gli orari di apertura di sale slot, scommesse ecc., recuperando le condizioni di vantaggio precedenti.

Se la pandemia ci ha costretti a ripensare al nostro modello di vita, mettendoci davanti all’urgenza di un cambiamento, non è possibile che il gioco d’azzardo ancora una volta sia trattato come eccezione.

I passi avanti conseguiti con enorme fatica non possono essere vanificati e la necessità di risorse pubbliche non può ancora una volta legittimare quella tassa occulta sulle componenti più fragili della popolazione che è il gioco d’azzardo.

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