La morte di una persona senza dimora è una sconfitta

PIn questi giorni in cui il maltempo ha imperversato su Roma, mostrando come le criticità possano trasformarsi in pericolo per l’incolumità delle persone, si capisce meglio quanto sia importante avere un riparo. Eppure, ci sono uomini e donne che vivono un’esposizione continua a condizione avverse, a rischi che normalmente nemmeno si considerano.

La donna senza dimora trovata priva di vita all’ingresso del colonnato di San Pietro lunedì mattina è l’ennesima vittima di un sistema inadeguato.

Consumata dalla vita in strada a oltre settant’anni, la notte se l’è portata via probabilmente a causa di un malore. Aveva un nome e un cognome a cui è stato possibile risalire anche perché era nota ai volontari e ai servizi che si occupano delle persone nella sua stessa condizione, adoperandosi per offrire loro cibo, coperte, ascolto e conforto. Tuttavia, non sempre basta.

Ogni morte di una persona senza dimora è una sconfitta. È la riprova che, nonostante di anno in anno la situazione si ripeta, nonostante il freddo e il maltempo siano prevedibili tanto quanto la ciclicità delle stagioni, il sistema di aiuto così com’è non regge, non arriva a coprire il bisogno di tutti.

Basta pensare alla distesa di persone che scandisce via Marsala fino alla soglia dell’Ostello Don Luigi Di Liegro quando raggiunge il limite massimo di capienza, o alle centinaia di persone senza dimora che vivono isolate e senza nessun punto di riferimento abbandonate a sé stesse e al proprio dolore, senza alcun contatto con il resto della città.

Ma non ci si deve rassegnare. L’accoglienza delle persone senza dimora è una sfida per la città intera, perché la contraddizione tra ricchezza e povertà, tra consumo e scarto, si manifesta con più evidenza proprio là dove c’è ingiustizia. E una comunità attraversata dall’ingiustizia non può vivere bene.

In questo senso, prestare attenzione agli ultimi non è buonismo; è una prova di intelligenza.