«Ecco perché mi piace essere Robin»

QuartieriSolidali-300x225C’è una canzone che mi piace tanto e che gira in radio ultimamente: si intitola “Nessuno vuole essere Robin”. Robin è il nome dell’assistente di Batman, rimane spesso nell’ombra ma la sua collaborazione è fondamentale. Nei fumetti Robin è sempre un supereroe, ma serve all’autore di quella canzone per mettere in luce come, al giorno d’oggi, sembra che le seconde file non piacciano a nessuno. Tutti si affannano per conquistare la ribalta del palco, il successo o gli altri mille nomi dietro cui si cela l’essere considerato un “vincente”.

La retroguardia, il patrimonio umano, la catena di solidarietà senza la quale la società in cui viviamo si polverizzerebbe del tutto, in poche parole l’idea di una comunità, di persone che parlano, che fanno cose gratuitamente, che ascoltano soprattutto: questo è, secondo me, impegnarsi un poco in un’attività di volontariato, o almeno per me è stato questo.

È stato conoscere per nome la gente del quartiere in cui vivo, non sentirmi più un’estranea in terra straniera. Non si tratta di eroismo, non si tratta di impegnare una quantità imponente di energie: è una goccia nel mare, ma è pur vero che senza ogni atomo di acqua la distesa degli oceani non esisterebbe.
Nel periodo che ho trascorso a stretto contatto con gli operatori della Caritas di Roma e della parrocchia Santa Maria Ausiliatrice coinvolti nel progetto Quartieri Solidali, ho incontrato le persone più disparate, sono entrata in alcune case, ho conosciuto realtà che spesso si celano allo sguardo distratto, ho capito cosa vuol dire avere rispetto dell’intimità delle persone che vengono assistite; ho capito – e può sembrare una banalità – quanto possa essere importante sorridere e lasciare tutto il resto della propria vita fuori, per ascoltare.

Niente è semplice, ovviamente ci sono delle regole da rispettare, ma questo perché l’attività di volontariato non può e non deve essere la risposta all’impulso irrazionale di voler aiutare qualcuno che ci sembra in difficoltà: è anche quello, ma soprattutto serve a rendere visibile quella catena umana che, per fortuna, non ha mai cessato di esistere e che è la fratellanza tra le creature. Mi piace immaginarla come una catena ordinata di individui che condividono uno scopo, un’intenzione.

Tutti, me compresa, possiamo trovarci o ci siamo trovati in periodi di difficoltà in cui scorgere una mano tesa ha significato restare in piedi o soccombere: un piccolo gesto gratuito, una chiacchierata con un amico, il sorriso o la sensazione che l’infermiere capisse ciò che stavamo passando, una telefonata, la sospensione del giudizio, un orecchio teso, una visita inaspettata.

In un momento molto impegnativo della mia vita lavorativa, il periodo trascorso a fare il volontario mi è stato veramente e autenticamente d’aiuto: sentirsi dire che il proprio piccolo sforzo è utile, non essere giudicati per ogni mossa, ma apprezzati perché si dona una piccola parte del proprio tempo o delle proprie capacità, è impagabile.

Infine, ciò che mi hanno donato di più prezioso i mesi trascorsi a collaborare al progetto di cui ho fatto parte è stata un’idea di casa, anzi, un sentimento di casa. Sentirsi chiamare per nome per strada, mentre si cammina soprappensiero in una città grande come Roma, sapere di avere degli amici nei dintorni, riconoscere le persone in strada, sentire di essere accolti in una rete di rapporti umani: per me il volontariato è stato questo.

Delia Volpe
volontaria del progetto Quartieri Solidali