La morte di tre sorelle, una ragazza e due bambine, nel rogo di un camper che sostava nel parcheggio pubblico di un centro commerciale a Centocelle. Una tragedia enorme. Purtroppo non la prima: nel 2011 morirono quattro fratellini in una roulotte a Tor Fiscale.
Sono morti che emozionano i romani ma che purtroppo non scuotono le loro coscienze, sono morti che non hanno lo stesso posto delle altre, sono morti di bambini rom. Un’infanzia che vive ai margini, vite che nascono nell’emarginazione e che si trovano subito a dover pagare colpe non loro.
Non ci interessa sapere il perché del rogo, doloso o accidentale, e nemmeno sapere i trascorsi dei genitori. Ci addolora la loro morte, ci indigna sapere che una famiglia di undici persone viva in un camper nel parcheggio di un centro commerciale, davanti a tutti, e che nessuno si interessi di loro. Ci sdegna e offende il fatto che qualcuno possa dire che è una “questione di vendetta” quasi sfumando il dato che tre ragazze di cui una di solo 4 anni siano morte.
Da qualche settimana erano nel quartiere e vivevano di espedienti, sono stati notati. È mai possibile che possiamo permettere che esseri umani vadano a frugare fra i nostri scarti nell’immondizia? Ci lamentiamo perché tirano fuori tutto e lo buttano a terra e non ci indigna sapere di persone che per sopravvivere debbano mettere la testa dentro i cassonetti.
Abbiamo creato un mondo parallelo, una città fatta di ultimi: i rom che vivono nei loro accampamenti, i senza dimora negli anfratti e nei sottopassi. Più di 15mila persone delle quali ci accorgiamo solo quando la loro presenza turba la nostra vita: sporcano, rubano, sono molesti.
Se non ci impegniamo seriamente a risolvere il problema – mettendoci testa, energie e risorse in modo comunitario – purtroppo non sarà l’ultima tragedia.
Serve programmazione fatta in modo più serio. Una progettualità più ampia, libera da pregiudizi e che prenda ispirazione da altre metropoli europee. Sapendo che sarà un cammino lungo e impervio: un percorso che se fosse iniziato seriamente dieci anni fa – ai tempi dei “piani nomadi” affidati a Mafia Capitale – non avrebbe generato queste morti.
Mons. Enrico Feroci