Appello Caritas: a Gaza tacciano le armi

Mancano acqua ed elettricità, aiuti impossibili. Caritas Gerusalemme: “occorre aprire gli occhi e dare giustizia al popolo palestinese”

Jerusalem“La situazione nella Striscia di Gaza è drammatica. Abbiamo sempre detto e lo ripetiamo che occorre arrivare immediatamente a un cessate il fuoco per salvare più vite possibile e risparmiare altre sofferenze e ulteriore distruzione. Abbiamo avuto paura alla notizia dell’operazione terrestre: da quando è cominciata, giovedì scorso, le sofferenze sono aumentate e siamo arrivati a più di 100 morti al giorno, in maggioranza donne, bambini e anziani”.

A parlare con l’agenzia MISNA è padre Raed Abusahlia, direttore di Caritas Gerusalemme, istituzione presente a Gaza dove normalmente assiste, con i mezzi rimasti a disposizione e le limitazioni dovute all’intensificarsi delle operazioni militari, civili che vivono in condizioni drammatiche. La sua è una voce di forte condanna per quanto sta accadendo nella Striscia, un’area di 360 km2 in cui vivono ammassate oltre 1.700.000 persone, da 14 giorni bersaglio dell’offensiva israeliana che ha provocato oltre 500 morti – “non numeri, ma esseri umani” ricorda il religioso – e più di 3000 feriti.

“Stiamo assistendo alla distruzione di interi quartieri. Immaginate, più di 1200 case completamente rase al suolo. Gaza è una città molto popolata, quando distruggono una casa tutte quelle vicine restano danneggiate e ora ce ne sono 20.000 colpite e rese quasi inagibili. Dopo quello che è successo ieri a Shejaiya – il sobborgo di Gaza City pesantemente colpito con un alto numero di vittime civili palestinesi – è in corso l’evacuazione di interi quartieri nei settori est, nord e sud. Dai dati più recenti in nostro possesso sappiamo che sono arrivate a 120.000 le persone ospitate in 56 scuole dell’agenzia dell’Onu per i palestinesi (Urnwa), ma si tratta di strutture non attrezzate per ricevere tutta questa gente, persone che quando finirà l’offensiva se potranno tornare troveranno le loro case distrutte e allora cosa faranno? E non sono solo le case ad essere distrutte, ma anche intere famiglie, più di 36, totalmente cancellate, mentre a Gaza manca l’acqua, manca l’elettricità, gli ospedali non hanno i mezzi necessari ad assistere i bisognosi” racconta padre Abusahlia. A questo proposito il direttore di Caritas Gerusalemme sottolinea la “posizione negativa” dell’Egitto “che ha aperto il valico di Rafah solo per alcune ore all’inizio dell’offensiva per far evacuare gli stranieri che abitano a Gaza o alcuni feriti e far entrare pochi medicinali. Noi condanniamo questa posizione: se il governo egiziano ha problemi con Hamas non ha il diritto di punire tutta una popolazione. Da parte nostra, appena cesseranno le ostilità vogliamo entrare a Gaza con tutto quello che stiamo raccogliendo per aiutare. Anche se sarà solo una goccia nei mare dei bisogni del popolo palestinese”.

Per padre Raed la priorità è “far tacere subito le armi e aprire i passaggi ma anche e soprattutto sradicare le cause del conflitto, revocando il blocco imposto da 12 anni a Gaza, la più grande prigione a cielo aperto del mondo”. Il pensiero di padre Abusahlia va anche ai cristiani di Gaza. “In totale sono oggi 1300, nel 2000 erano cinquemila. Loro come gli altri sono sotto attacco: già prima della guerra il 34% delle famiglie non aveva fonti di reddito, ora è ancora peggio”.

Quanto sta succedendo a Gaza per padre Raed “è insopportabile”. Non può esserci vittoria militare, dice: “Occorre aprire gli occhi e dare giustizia al popolo palestinese. Questa è la strada più corta per la pace, mettere fine all’occupazione”.