Quaresima, accanto alle «miserie della gente»

L’editoriale su Romasette del direttore della Caritas, monsignor Enrico Feroci, sul messaggio per la Quaresima di papa Francesco

Papa Francesco ci sorprende.
Continuamente. Ho letto il messaggio per la Quaresima presentato nei giorni scorsi. Ho immaginato la scena.
Papa Francesco seduto davanti alla piccola scrivania della stanza della Casa di accoglienza Santa Marta in Vaticano. Prende carta e penna (non mi viene di pensare al computer) e scrive ai suoi figli.

papa-FrancescoIl Padre che «offre alcune riflessioni».
Come dono, come aiuto per il «cammino personale e comunitario di conversione». E scrive tutto di getto, immagino ­direbbero gli antichi – «ex abundantia cordis». Le «offre», non le impone. Ma fa intuire che il suo più grande desiderio è che i figli si convertano. A cosa? Alla comprensione del mistero di un Dio che «da ricco che era si è fatto povero». Un Dio che ha venduto tutta la sua ricchezza per comprare il tesoro nascosto nel campo: proprio noi.

Papa Francesco desidera, non per sua gloria paterna, vedere i figli, smarriti, gioire di essere cercati dal Pastore. Un padre che anela a farci comprendere che l’obiettivo di Dio non è quello di ricondurre la pecora nel recinto, quasi fosse una imperfezione da correggere o un ordine da ripristinare. Ma farci comprendere il mistero del «dolore» di Dio per la lontananza della pecora e far comprendere «la gioia» di Dio nel condividere in tutto la sorte della realtà che ha voluto per amore e che ama.

Il più grande desiderio di Papa Francesco ­mi sembra – è quello di mostrarci «l’amore di compassione, di tenerezza e di condivisione» di Dio. Ma ancora di più mi sembra che Papa Francesco desideri, con questo messaggio, farci comprendere che non è la pecora smarrita che va in cerca del pastore, ma è il pastore che la cerca, si affanna e offre se stesso per lei. Mi è ritornata in mente la pagina di riflessione di sant’Ireneo letta martedì scorso nella liturgia delle ore: «Il verbo di Dio si è fatto uomo e il Figlio si è fatto figlio dell’uomo perché l’uomo, unito al Verbo e ricevendo l’adozione, diventi figlio di Dio».

«La ragione di tutto questo – scrive il Papa nel suo Messaggio per la Quaresima 2014 sul tema ‘Si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà (cfr 2 Cor 8,9)’ – è l’amore divino, un amore che è grazia, generosità, desiderio di prossimità, e non esita a donarsi e sacrificarsi per le creature amate. La carità, l’amore è condividere in tutto la sorte dell’amato. L’amore rende simili, crea uguaglianza, abbatte i muri e le distanze. E Dio ha fatto questo con noi». La conseguenza di questa suggestione è che anche noi dobbiamo fare quello che Gesù ha fatto. La lampada, per essere lampada, deve illuminare; il cristiano, per essere tale, deve compiere le opere che Lui, Gesù, ha compiuto. Papa Francesco ci suggerisce la parola «imitazione». Come Lui, anche noi. L’amore concreto ai fratelli è la prova che siamo uomini vivi, siamo Cristo. San Giovanni dice: «Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita. La prova è questa, che amiamo i nostri fratelli. Chi non ama il prossimo è ancora sotto il dominio della morte».

Papa Francesco ci vuole vivi. Ci vuole capaci di «guardare le miserie dei fratelli, di toccarle, di farcene carico e di operare concretamente per alleviarle». Nel proporcelo si nota che lui stesso si sente coinvolto. Noi, lui, la Chiesa. E ci dice: «Il Signore ci invita ad essere annunciatori gioiosi di questo messaggio di misericordia e di speranza! È bello sperimentare la gioia di diffondere questa buona notizia, di condividere il tesoro a noi affidato, per consolare i cuori affranti e dare speranza a tanti fratelli e sorelle avvolti dal buio».

Ecco la Quaresima, la nostra Quaresima: un attento ascolto di ciò che lo Spirito ci suggerisce, una sensibilità profonda, non superficiale ai dolori, visibili o nascosti, che il Papa chiama «miserie dei fratelli». Una condivisione vera ricordando le parole del Concilio nella «Gaudium et spes» (n. 69): «Nutri colui che è moribondo per fame, perché se non lo avrai nutrito, lo avrai ucciso».

Mons. Enrico Feroci