Ferite invisibili

È stata inaugurata il 27 marzo a Roma la nuova sede dell’ambulatorio medico per la cura di immigrati e rifugiati vittime di violenza e tortura. La nuova struttura, in Via di Grotta Pinta 19, è stata realizzata in collaborazione con il Municipio I di Roma Capitale, la Asl Roma A e l’Istituto Tata Giovanni.

Qui continuerà l’opera di medici psichiatri, psicologi, mediatori culturali e volontari che, dal 2005, hanno avviato una progettazione di interventi mirati alla riabilitazione psicologica e fisica di chi ha subito violenza, tortura ed in genere traumi legati alla mancanza di accoglienza ed all’ingiustizia sociale. Un’attività clinica affiancata da iniziative di formazione, ricerca e screening della popolazione a rischio.

L’aiuto, attraverso un attento lavoro di equipe, consiste innanzitutto nel far riconoscere l’orrore vissuto e le “ferite” psichiche indotte, affinché queste persone possano riappropriarsi della dignità di essere umani, dare un significato alla loro esperienza e riprogettare un futuro per la loro esistenza. Nel contempo cerca anche di costituire una fitta rete socio-assistenziale per sostenere percorsi legali, informativi e formativi (accoglienza protetta, insegnamento della lingua italiana, formazione professionale, inserimento lavorativo…). Il setting terapeutico, aperto e flessibile, si avvale di molte risorse e favorisce modi diversi di concepire le relazioni e gli affetti, la salute e la malattia, di interpretare gli eventi e la realtà circostante; e soprattutto è un luogo di appartenenza in cui sentirsi protetti e sostenuti.

Nei sette anni di attività, il progetto ha preso in carico 183 pazienti effettuando 2.259 colloqui psicoterapeutici con una media di 12,3 visite/paziente, a sottolineare la complessità e la delicatezza dell’approccio terapeutico. Nei primi 3 mesi del 2012, sono stati seguiti 49 pazienti, di cui 18 nuovi, e sono state effettuate 203 sedute terapeutiche. Fino al 2010 i pazienti provenivano soprattutto dall’Afghanistan, seguiti dalla Guinea, Nigeria e Eritrea. Nel 2011 sono stati prevalenti gli arrivi da Costa D’Avorio, Afghanistan e Camerun. Nel 2005, la prima persona seguita è stata una donna, attualmente la componente femminile è del 19%.

Dal febbraio 2012, l’Ufficio delle Nazioni Unite dell’Alto Commissario per i Diritti Umani ha riconosciuto il servizio all’interno della rete sovranazionale di sostegno e cura alle vittime di tortura.

Il progetto Ferite Invisibili
Le testimonianze dei pazienti