Il mistero della persona umana è fatto anche dei momenti insignificanti

Una meditazione del vescovo Paolo Ricciardi, ausiliare della diocesi di Roma incaricato per la Pastorale della Salute, in occasione della Giornata mondiale dell’Alzheimer.

Figlio, soccorri tuo padre nella vecchiaia, non contristarlo durante la sua vita.
Sii indulgente, anche se perde il senno, e non disprezzarlo, mentre tu sei nel pieno vigore.
L’opera buona verso il padre non sarà dimenticata,
otterrà il perdono dei peccati, rinnoverà la tua casa.
Nel giorno della tua tribolazione Dio si ricorderà di te,
come brina al calore si scioglieranno i tuoi peccati. (Sir 3,12-15)

Queste parole fanno parte del libro sapienziale del Siracide, un testo dell’Antico Testamento dei primi decenni del II secolo avanti Cristo; ma la “pietas” verso i genitori – eco del quarto comandamento biblico e di ogni cultura – non si riduce a sole parole. Si traduce in atti concreti, in particolare quando l’età avanzata e malattie di vario tipo colpiscono la persona, togliendogli alcune facoltà. E quando, tra tutte le facoltà, viene toccata la ragione, la mente, la memoria, sorgono ancor più difficoltà per chi vive accanto al malato.

Ho conosciuto tante persone in questo stato e tanti familiari chiamati a stare vicino mettendo in conto, non senza fatica, di non essere riconosciuti più, a volte di essere rifiutati, di non sentirsi neanche più chiamare per nome da chi di quel nome aveva fatto la ragione della vita: una moglie, un marito, un padre, una madre.

L’autore sacro parla di indulgenza verso chi perde il senno e di opera buona, che traduce il termine greco “eleemosune” – elemosina – nel senso più bello della parola: non un semplice gesto per avere “la coscienza a posto” o per evitare scocciature (come a volte purtroppo oggi è l’elemosina), ma un’opera di bontà e di giustizia insieme. Ciò che stai compiendo verso quel malato (compreso il lavarlo, l’imboccarlo, il servirlo) non è solo un giusto atto di amore, ma un anche atto di giustizia amorevole, una “restituzione” gratuita di un amore ricevuto, o comunque di una vita donata, cui noi diciamo il nostro grazie più vero, il grazie incondizionato, il grazie che, in molti casi, non avrà dal malato una risposta ragionevole secondo i nostri criteri.

Io, da sacerdote, da parroco, e ora da vescovo delegato a Roma per la Pastorale della Salute, ho conosciuto tante situazioni in cui – nella prova dell’Alzheimer – sono stato edificato e commosso da atti semplici di amore e di giustizia, arricchiti dalla forza della memoria. Sì, chi sta vicino ad un malato così, fa leva sulla memoria, trovando qualche spunto di relazione anche in piccoli particolari del passato che ora diventano grandi, aiutandoci a capire che il mistero della persona umana è fatta di diversi momenti che crediamo insignificanti, ma che quando meno te l’aspetti riaffiorano e sostengono.

Ricordo quando tre anni fa con alcuni miei parenti sono andato alla casa di campagna dei miei zii per gli 80 anni di zia Chiara. La mia memoria si è riempita di ricordi, di estati serene passate con mia sorella e i miei cuginetti in quegli spazi, esterni ed interni, dove tutto era occasione di gioco e di avventure. Per mia zia, però, ormai da tempo non ci sono più quei ricordi. Fino a tre anni fa quando la salutavo lei mi chiedeva chi ero… mentre ora sembra non ascoltare più. Non sono più il suo nipote “Paoletto”; a volte si illuminava quando gli dicevo che ero il nipote prete e lei mi diceva: “Che bello…” ma poi aggiungeva “…e quanti figli hai?”. Con tutto questo ancora mi commuovo nel vedere mio zio, con i miei cugini, che le sta accanto sorridendo di ogni gesto e delle poche parole senza senso della moglie, in una tenerezza concreta.

Perdonatemi queste confidenze. Vi parlo così perché credo che ciò che si fa in aiuto alle persone affette dal morbo di Alzheimer è un segno grande che va al di là di singoli atti.

In un mondo in cui prevale la “cultura dello scarto” – come ripete spesso papa Francesco – per cui il malato e l’anziano sono da mettere da parte perché non producono, i familiari dei malati di Alzheimer ci dicono che ogni vita è sacra. Oggi, celebrando questa giornata, ricordiamo che ci sono memorie che non si perdono, anche quando c’è chi ha perso la memoria: “L’opera buona verso il Padre non verrà dimenticata. E Dio si ricorderà di te nel giorno della tribolazione”.

Una volta Papa Francesco incontrò un coro particolare, chiamato “Arcobaleno”, composto da persone malate di Alzheimer, e ha detto: “Ho ringraziato il Signore, perché penso che per voi cantare insieme sia una consolazione, un sostegno, che aiuta ad andare avanti e a sopportare il peso della malattia che certamente si fa sentire. Anzi, penso che il vostro canto sia reso più prezioso dalla vostra vulnerabilità. Penso che il fatto di mettere in comune le nostre fragilità e accettarle reciprocamente, questo è il “canto” più bello, l’armonia più gradita a Dio, un “arcobaleno” non di perfezioni, ma di imperfezioni! Poi quando ho visto il direttore, ho pensato: ha dimenticato la bacchetta! Ma poi ho visto che la sua bacchetta è la tenerezza. Grazie, Signor direttore, perché Lei portando avanti gesti di tenerezza ci rende tutti più umani. E con la sua tenerezza, la vostra tenerezza, di tutti, oggi abbiamo adempiuto il quarto comandamento: onorare gli anziani che sono la nostra memoria. Forse qualcuno di loro ha perso la memoria, ma loro sono il simbolo della memoria di un popolo, loro sono le radici della vostra patria, della nostra umanità. Sono le radici, e i giovani devono venire lì a prendere il succo delle radici per portare avanti la civiltà”.

Ancora una volta la medicina alla tenerezza è la cura per coloro che vivono nella malattia. Non ci scordiamo di loro anche se loro, apparentemente, sembrano essersi scordati di noi.

Paolo Ricciardi
vescovo ausiliare di Roma
incaricato per la Pastorale della Salute

Il saluto del vescovo Paolo Ricciardi ha aperto l’incontro per la Giornata mondiale dell’Alzheimer si è svolto nel centro “Casa Wanda” della Caritas di Roma: una lettura nello spazio scenico del “Diario di un malato di Alzheimer” opera tratta dal libro di Cary Smith Henderson.

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